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 Iniziamo queste schede con un omaggio ad Anchise Picchi, grande vecchio della pittura italiana, che dopo aver spaziato in gran parte del '900 ha invaso anche questo secolo confrontandosi con la tecnologia dell'arte digitale. A questo ammirevole pennello la rivista ha dedicato due copertine, un articolo del Direttore e vari inserti critici che qui vi proponiamo integralmente.

 

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ANCHISE PICCHI: IL PITTORE DEL POSSIBILE

I punti di riferimento nell'arte di Anchise Picchi sono vari e molteplici.
Ai suoi tanti anni di esperienza e di lavoro si deve una tecnica formalmente perfetta che coniuga abilità di manipolazione di mezzi espressivi (carboncino, olio, matita, sanguigna e per ultimo il computer), alle problematiche del nostro tempo. L'artista affronta l'idea portante. Viviamo in un mondo di comunicazione e l'immagine è diventata ormai strumento di tale comunicazione, ottenuta con i mezzi più svariati: lastra fotografica, legno, argilla, carta da disegno, tavola di compensato, fotocopiatrice, ma sempre e pur meglio con la magia dei colori che ti avvolge anzi ti travolge nelle emozioni che sa suscitare. Nel suo lungo percorso artistico, che inizia alla fine degli anni 40 con un avvio scultoreo, il nostro è passato alla pittura a olio (non trascurando acquerello, tempera, affresco, pastello), della quale si è servito per affrontare i grandi, immutabili temi dell'umanità: lavoro, famiglia, amore, tramite la raffinata percezione del mondo interiore, letta attraverso il filtro della saggezza arcaica. Nella ricerca di nuovi linguaggi, superato un primo periodo di tradizionalismo macchiaiolo, l'artista, con l'inquietudine che si porta appresso sin dai vent'anni agrodolci della giovinezza, si distoglie da un percorso obbligato e si presenta in maniera completamente diversa, in una visione simbolico-surrealista, che applica una maggiore tonalità chiaroscurale alla semplice lezione visiva. Ma l'artista anche dopo questa esperienza, continua a spiare il mondo circostante e cerca di colmare il vuoto del quotidiano gettando lo sguardo alla perfezione della figura umana e del paesaggio, nella lettura dei loro codici espressivi ed estetici. Nasce così il terzo periodo che rispecchia in toto l'anima mundi, nella visione di agricoltori al lavoro, di campagne setacciate dalla falce, nella convinzione che un presente privo del passato non possa esistere. Neo o post-divisionista, per quella grumosa consistenza, sfaldatura di oggetti, certamente fedele a un suo codice di lettura, sensibile alle istanze del suo tempo, nell'interpretazione dei ruoli e dei significati della vita. Picchi rifiuta l'omologazione accademica, per prendere a piene mani ispirazioni dai temi, dai valori del nostro tempo, sperimentando nuove tecniche, con immediata naturalezza, rompendo gli schemi tradizionali. Il tema dominante della sua opera è pur sempre l'uomo con tutta la sua problematica, le urgenze del quotidiano, le allusioni alle tante argomentazioni, espresse nelle infinite variabili dell'inconscio collettivo e comunque del nostro vivere. Una perso-nalità pluralista così come la sua pittura, anticonformista e indipendente, curiosa per tutto ciò che è innovazione e deside-rosa di cogliere attraverso l'arte la realtà, sempre tuttavia in costante fusione con l'interiorità. I disegni peraltro numerosissimi in questa antologica (circa 600) si offrono all'occhio come provocatori dettagli di un mondo in estinzione, disegnato da contorni neri e marcati che ne sottolineano la drammatica urgenza e la prepotente vitalità. Ad invadere lo spazio pittorico sono invece i segmenti, l'individuazione mai chiassosa delle figure in movimento, quasi esemplificazione poetica delle mansioni umane, di virginali sguardi di fanciulle nella magica osservazione del reale.
La sua pittura viva e armoniosa (Notturno, Il Boscaiolo, Canne al vento, La Bambinaia, Sandro sul coppo, Vendemmia, Donna al pozzo), insegue la perfezione estetica, uscendo tuttavia dalla didascalica avventura della pura descrizione, perché commenta con la verità di un dettato sentito, il cammino dell'uomo. Ritratti, paesaggi, nature morte: analisi piacevole di un mondo in movimento capace di resistere all'usura del tempo per la semplicità di coglierne la multiforme espressività.
I temi proposti dal nostro sono moltepl-ci e abbracciano aspetti urbanistici, antropologici, paesaggistici e naturalistici; possibile cogliere attraverso la sua produzione peraltro vasta, il senso di un passato che affiora, spesso con note di ma-linconia, su volti segnati dal tempo. Lirismo plastico, slancio e descrittiva in forma quasi epigrafica, così da offrire al-l'osservatore un ampio panorama compositivo racchiuso in una cornice di volti, figure, paesaggi. Mai pittura di tendenza o d'occasione, ma stesura rigorosa di un'opera che riflette un momento storico.
La vecchiaia, si dice, è l'epoca della saggezza' ma è altresì quella della riflessione e della stanchezza, perché il vecchio, e Picchi anagraficamente lo è, non riesce a tenere dietro alla rapida mutazione dei tempi. Tuttavia l'aver tanto vissuto e la-vorato è una fortuna, un puro fatto che acquista un valore unicamente attraverso una longi temporis prescriptio, nel ten-tativo di sempre d'innalzare il reale al livello dell'ideale. Il desiderio in fondo dell'artista di concretare il disegno interiore che lo prende nel periodo dell'ideazione del progetto e lo accompagna fino alla liberatoria rifinitura, che nel caso di Anchise Picchi, non è mai mancata.
(Giuliana Matthieu)

Dalla presentazione di Luigi Servolini in occasione dell'Antologica di Palazzo Strozzi nel '78 a Firenze

Autodidatta in pittura e pittore prolifico, Anchise Picchi, ricercando con passione ed insistenza i mezzi più idonei alle ne-cessità espressive della sua arte, ha realizzato, in ordine, la copiosa produzione di tre periodi. Distinguiamoli: il primo di una pittura tradizionale realistica, postmacchiaiola con figure, paesaggi e scene agresti ed una serie di grigi piovosi; il secondo: la sua pittura, che consiste tecnicamente in una combinazione di mezzi espressivi presenta una maggiore forza chiaroscurale e cromatica, un'intensità tonale più cupa e di ampio respiro mentre sono ben evidenziate le centralità visuali: oggetti, piante, fiori, frutta in primo piano sotto vivida illuminazione e con fondi ombrosi e scuri montagnosi o marini o paesani... ove rafforzata appare l'evidenza plastica delle cose... Il terzo, più soffice nella pennellata ma di stesura ruvida e grumosa... che appare più velata e sfaldantesi... Anchise Picchi ha sempre prediletto, per vocazione e ispirazione naturale, di essere il pittore-cantore della campagna ove ha sempre vissuto, ed a cui ha consacrato l'arte sua fresca e originale, la vita.

Luigi Servolini Roma, marzo 1978

Dall' intervista telematica di Stefano Colonna - Direttore del BTA - Università di Roma

...A quale artista del passato si sente legato in modo particolare?
E' banale che ammiri sconfinatamente Michelangelo e tutti gli altri grandi del 500 senza dimenticare naturalmente i pre-cedenti. Amo molto tutta la scuola dei Macchiaioli e, in modo particolare, Fattori, Lega e Signorini. Ho tenuto contatti personali con i Gioli e specialmente Luigi a cui donai una Testa di Vecchio eseguita in legno di frassino con un temperino, ricevendone in cambio un bel bozzetto di una fiera in maremma. Era il periodo bellico e non disponendo di sgorbie mi arrangiavo così. L'influsso della scuola macchiaiola ha caratterizzato il periodo della mia prima maniera in pittura. L'attività piena in pittura è iniziata a partire dal 47/48 con l'esecuzione di copie, a scopo di studio e di esercizio, come quella, ad es. della "Madonna della Seggiola", "Madonna del Cardellino", ecc. che eseguivo in formato reale e direttamente in Galleria con il permesso della Direzione. Mi commuovono profondamente i lavori di Giotto e del Beato Angelico per la loro ingenua purezza. E' questo spirito "francescano" che ho sempre cercato di trasfondere nei miei lavori.

E' stato suo nipote Lido a spingerla sulla strada della computer grafica?
Non è che mi abbia spinto. Mi ha solo fatto notare le possibilità coloristiche dei nuovi mezzi elettronici. Sono stato così stimolato a provarli e mi sono trovato im-merso in un nuovo e straordinario mondo di luce e di colore. Non potevo non provare. Ho sempre cercato la luce, il colore, l'accordo cromatico perfetto. Avevo ora davanti a me la luce pura, lo schermo è una tavolozza infinitamente assortita. Come avrei fatto a resistere? In fondo usare il pennello od un mouse non è che faccia molta differenza, è pur sempre uno strumento. La qualità di una poesia non dipende dalla penna che l'ha scritta...
Roma 16Aprile 1996

TRATTO DA "LA BALLATA" N. 2, 2000

 

 

 

ANCHISE PICCHI: UN MAESTRO DEL '900

 (. . .) Ecco che in La Chiesa di Corea a Livorno (1979) si afferma in termini definitivi quella fisionomia di artista intento a cimentarsi col vero, sempre però con il supporto di un'inesauribile capacità visionaria che si dipana secondo percorsi senti-mentali del tutto autonomi, visto che egli si attenta in quest' opera a cogliere il dramma di un'esistenza votata al travaglio e alle difficoltà, come si evince da quella piccola figura femminile trascinata dalla bufera, insieme con il suo bambino, di fronte alla chiesa cittadina - una delle solite figure 'senza volto' dipinte cosi frequentemente dall'artista sull'onda del ricordo dei manichini di Annigoni - che nella positura di schiena nega ogni possibilità di colloquio con l'osservatore, assurgendo a simbolo di un'umanità travolta da un destino di solitudine, dove tuttavia si erge il ba-luardo di una presenza ineludibile, quello della fede divina che si sprigiona dal profilo monumentale della chiesa investita da una luce talmente prorompente da vincere l'oscurità dell'aria tempestosa: un monito dell' artista a non smarrire la speranza di una dimensione ultraterrena, ma anche e soprattutto, in termini pittorici, un'estrema professione di fede nei confronti della primari età della luce nella genesi dell' opera d'arte.

(...) Picchi si pone rispettosamente davanti al dramma esistenziale dei suoi personaggi, cosicché, oltre ad astenersi dalla rappresentazione frontale delle figure tratteggiate nelle sue vedute, anche laddove s'impegna nell'ardua impresa del ritratto preferisce avvalersi quasi sempre dello schermo di uno strumento senz'altro più obbiettivo del suo sguardo, ovvero la fotografia: è il caso di "Ritratto fem-minile" ("Il medaglione" -1964), realizzato addirittura sulla scorta di un dagherrotipo; e di quest'ultimo l'immagine femminile trattiene tutto il fascino della lontananza, anche se il nitore disegna-tivo con cui vengono caratterizzati sia il volto che gli accessori giunge a restituire perfettamente il fascino tutto attuale del-la protagonista del ritratto. ..

(Da: "Anchise Picchi - Un percorso nel Novecento da Natali a Annigoni" - di Francesca Cagianelli)

 

 

 

L'abilità disegnativa e luministica è qui ben rappresentata, restituendo in pieno il senso del tempo che si ritrova e rivive nel-la forte, volumetrica e caratterizzata fisicità degli oggetti, quasi a sottolinearne l'uso e a ricordarne la storia.

Lido Pacciardi

 

Due domande al maestro Picchi (Da un 'intervista rilasciata al dott. Stefano Colonna, direttore del BTA)

Oggi l'Arte sembra non avere più spazio nei mezzi di comunicazione di massa. Ma la realtà è forse differente: qual è il suo pensiero a proposito?

La potenza e la flessibilità dei mezzi di comunicazione di massa potrebbero renderli strumenti efficacissimi per la diffusione della cultura e dell' Arte, strumenti, se non altro, funzionali al mantenimento e al rispetto di un patrimonio di storia e di cultura unico al mondo. Purtroppo l'uso che se ne fa è sotto gli occhi di tutti. Rare e scadenti sono le eccezioni. Credo che siano scelte di carattere politico. Abbiamo una storia unica e irripetibile, il maggiore e più valido patrimonio storico-artistico del globo, e ne sanno più gli stranieri di noi. Nelle nostre città respiriamo arte in continuazione, la incontriamo ad- ogni angolo ed in ogni via. Solo pochi se ne accorgono. I più non ne sanno neppur misurare, all'ingrosso, il valore. Gli splendidi marmi del Duomo di Pisa, a due passi da casa mia, sono coperti di scritte d'ogni genere! E' una responsabilità a carattere essenzialmente politico. Spesso a carattere locale. Il pericolo è che i mezzi di informazione finiscano per disinteressarsi completamente di tutto ciò che non sia finalizzato al "con sumismo di massa", al profitto e all'immediato tornaconto. Penso che, invece, un uso più intelligente ed accorto dei mezzi di comunicazione verso un' educazione più diffusa e più profonda all' Arte, sarebbe un sicuro investimento per una società più adulta, più libera, più consapevole.

 

Quale pensa che sia il fine ultimo dell'Arte?

Come io la vivo, la creazione artistica è quasi un bisogno fisiologico. Per l'artista essa non ha principio e scopo. E' solo pura necessità, appagamento, spesso ansia. Ma l'Arte, intesa in senso più vasto, non personalistico, è produttrice di civiltà, in un processo di osmosi che le trova strettamente avvinte. Il compimento di un' opera è, per l'artefice, il momento del completamento, dell' acquetamento della pulsione, della realizzazione materiale di un progetto, di un'idea; anche della fine di uno stato d'ansia, se vogliamo. Da quel momento l'opera comincia a vivere di vita propria. L'artista quasi la disconosce, la rigetta, ne rimane esterno. Ora essa è patrimonio di tutti, è testimonianza, è parte di ognuno che, godendola, vi si conosce. Quale il suo fine ultimo? E' una domanda impossibile e fondamentale. Forse quello di sconfiggere la mera razionalità? Per penetrare il mondo del sogno e della poesia? Non lo sappiamo né lo sapremo mai. Sappiamo solo che un popolo senz'arte è senza storia; è un popolo che non è mai nato, né credo sia mai esistito veramente. L'arte nasce dal mito. E' mito essa stessa. Parlandoci da sempre, dagli strati meno noti dell' animo umano, come dalle oscure profondità delle grotte preistoriche dipinte, essa è lì, apparentemente senza un preciso scopo (ma qual'è, se c'è addirittura, l'utilità dell'universo?), a rendere più libera la nostra debole condizione di umani. Non saprei cos'altro dire e non so se ho risposto alla sua domanda.

TRATTO DA "LA BALLATA" N. 1 - 2002

 
 

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