Torna alla pagina iniziale I quadri di Renato, Vai da Athos
Una foto di Renato, giovane, scattata dal celebre fotografo livornese Bruno Miniati.
Quando ero un ragazzo di dieci, dodici anni, mi ricordo che approfittavo del momento della visita ai miei nonni materni in piazza Lavagna, per fermarmi volentieri nella casa di via Gramsci, dallo "zio" Renato, per "vedere come pitturava". Chi non ha avuto la fortuna di osservarlo lavorare al cavalletto nel suo studio, non può immaginare quanto fosse veloce nell'esecuzione delle sue opere; sapeva con anticipo cosa rappresentare ed usava il pennello come se questo fosse guidato dallo sguardo interiore e dal guizzo dei ricordi. Per le donne frettolose e infreddolite che con passo svelto percorrevano i marciapiedi della Venezia, bastavano solo tre pennellate ben assestate sulla tela: una per il vestito, una per il fazzoletto in testa una per il volto, già espressivo così com' era, abbozzato. Eccezionale! Non parliamo poi delle vedute della darsena, con gli alberi delle barche a vela, dei riflessi della sera sulle strade bagnate di Livorno, dei tramonti di fuoco sull'acqua quasi ferma dei canali della Venezia. Grazie al potere evocativo delle sue tele, gli odori delle vele bagnate, del pesce e dei pentoloni con le reti dentro a bollire, si spandevano nello studio di Renato. Talvolta una macchia malauguratamente si formava sulla tela e lo "zio" Renato, sotto i miei occhi stupiti di bambino, era in grado di trasformarla in un personaggio, intervenendo con rapidità come se avesse paura di dimenticare uno spunto suggeritogli dalla memoria. Non so quanti quadri ho visto dipingere, ma posso dire che ogni volta era una grande esperienza e un gran divertimento. |
Cosa hanno scritto di lui:
dal giornale "Cronaca della Città" 25 maggio 1922 Guido Wrelli scriveva fra l'altro:
"..............questo livornese di nascita, di temperamento e, talvolta anche di accento, questo autentico puro sangue che si dimostra tale anche attraverso i soggetti della sua arte, perché dipinge di preferenza ambienti della sua città, è stato sempre un fervido banditore di un ideale verbo basato su questo comodo e chiaro trinomio: ozio contemplativo, vagabondaggio estetico, lavoro interiore......."
Ugo OJetti lo definì "Renato delle notti".
Aldo Santini - IL TIRRENO 23 maggio 1960
Natali: ovvero i pennelli nel cacciucco. Dai macchiaioli in giù strizza strizza, l'unico pittore che abbia ritratto il volto della sua città, é stato Natali - Gli altri, dal Fattori al Puccini sino a Nomellini, sono rimasti sin troppo fedeli al modulo ottocentesco della pittura campestre ed elegiaca.............Soltanto Renato Natali è rimasto a dipingere dentro la cinta daziaria. Al massimo è arrivato alla Rotonda, ma per scoprire la "crema" in panciolle alla Baracchina, o per tirar giù una galoppata di ronzini nell'ippodromo incorniciato dalle tamerici. Natali è un pittore che fa razza a sé. Non è imparentato con i macchiaioli e non ha avuto maestri. E' un autodidatta della tavolozza e non ha mai dipinto dal vero. Osserva il paesaggio con gli occhi a palla, lo fotografa nella lastra della memoria, prende qualche appunto e rientra nel suo covo di Colline a passettini fitti fitti. "Il vero c'è, dice, ma appena abbassi lo sguardo non c'è più..... Gli altri lo fanno pennellata per pennellata , alzando e abbassando lo sguardo, io lo ricostruisco tutto in una volta".. .........Dario Niccodemi lo invita sulla Senna perché crei una collezione di capolavori e Natali in un anno che rimane nella Ville Lumière impugna i pennelli una sola volta quando tinge di nero le righe bianche dei suoi pantaloni per poter intervenire ad un pranzo in onore di D'Annunzio........
Giotto Ciardi "Il Telegrafo" 11 giugno 1974, per la mostra antologica al Museo Civico di Livorno.
"Seduto al cavalletto che fu di Fattori, spesso alla luce artificiale, il Natali lavora e viaggia per tutte le strade e in ogni stagione. Tutto il Natali fa; non si muove; eppure spazia per ogni dove, lavorando facilmente e felicemente conversando.............. La maggior parte dei suoi quadri di luci ed ombre, come del resto altri, sono dipinti a memoria. La sua memoria e la sensibilità di artista gli permettono di assimilare la salsedine ed il libeccio, le luci riflesse nelle pozzanghere delle strade ed i caratteri del popolano livornese"