MARCELLO LANDI

STORIA A PEZZI

Editore Belforte, Livorno 1955

Prefazione di Luigi Fallacara

POESIA DI LANDI
Nella situazione polemica (della poesia italiana di oggi, la posizione della lirica di Marcello Landi, è quanto mai singolare.
Per chi cerca le distinzioni e le comode definizioni, essa potrà sembrare ancora poesia cosiddetta ermetica, poesia dell'assenza e del verbo poetico. Ma non può, d'altra parte, sfuggire l'umana angoscia da cui essa scaturisce, la ragione di vita che essa ansiosamente e sinceramente ricerca. Ne si può, d'altra parte, non riconoscere che i mezzi espressivi di cui Landi sì serve sono quelli necessari, suggeritigli non dalla scuola, ma dall'istinto; sono i mezzi naturali della sua voce.
Intanto, quella sua dolorosa coscienza d'uomo straziato dalle circostanze, dal tarlo segreto che rode il tempo, illusoriamente fermato nelle stanze famigliari, dalle"apparizioni consumate", dalla certezza di non sapere inventare più il suo futuro è non solo coscienza individuale, solitudine d'uomo, ma coralità di una sorte comune, interpretazione e sillabazione d'una umana condizione, da affrontare insieme, e da risolvere insieme.
Si, perché laddove un cronachismo si limiterebbe a una constatazione degli eventi, lasciando le cose, poi, come sono, questo scavo interiore, questo plurale di angoscia altamente liricizzato va alla ricerca dei significati delle cose, delle ragioni dolorose dei divini segreti, da strappare con un grido o un pianto al cuore stesso dell'esistenza.

" Oh, potessi sciogliere un nodo,
quello che inizia la storia,
e farne una corda tesa e serena ... "
in questa implorazione, quanta consapevolezza dell'ostacolo iniziale e fuori di noi, quanta ansia di sentirsi agganciato all'eterno, tenuto da quella corda " tesa " rasserenato si direbbe, per tutta la sua lunghezza ! E l'urgenza di una " storia " da iniziare, a quel punto preciso,
perché il seguito egli lo lascerebbe volentieri agli altri. Egli è, e si sente, uno di quelli che chiede per tutti, e per questo va avanti a tutti, e per questo è solo.
Non si tratta dunque di un discorso poetico, ma di una " storia a brani ", fatta di silenzi e di parole aggressive, caricate di tutta una esistenza, della coscienza che "a noi, mancano gesti precisi" che dobbiamo tutto inventare, anche la speranza. Ma ecco essa riappare, insieme
a nuove, impensate risoluzioni e decisioni, sotto forma quasi di preghiera in aperture improvvise e estraniate nel ritmo di "tacchi d'oro", nel perpetuarsi di angeli' improvvisamente aperti nel vuoto, segno preciso della totalità di questo penetrare nel senso stesso della realtà.
Improvvisamente, e quasi gratuitamente, dunque, come un dono insperato e disperato, dono della poesia e suo mistero; ma in quella sfera alta e solenne, in quella rinunzia alla dolcezza addomesticata, al consueto che nega le gioie supreme, le uniche; in quei silenzi stupefatti, in cui la parola suona come un grido, e diventa, per la sua stessa non più rattenuta dilatazione, ricerca e possesso di Dio.
Che poi questa parola sia, talvolta, anche popolaresca perché parte di un linguaggio naturale, e parte si può dire di questi paesaggi d'infanzia che evoca,, Maremma di "malmenati orizzonti" e litorali antichi dove "la barca è una cuna che i sogni raduna ", e le rondini hanno " occhi d'ulivi " e il pelo di " un tenero diavolo " è un'altra prova della umanità di questa poesia che vuole cercare e cantare insieme agli altri, dando un senso ai cori dei ritornelli paesani e alle cantilene lunari, respirate dallo spazio.
Dove dunque collocheremo questa poesia così originale e cosi umana, così singolare e cosi nostra ?
Essa e, fuori delle polemiche e dalle definizioni un fatto naturale, uno di quegli eventi che non subiscono il tempo, ma di cui si fa, quando si fa, la storia.
LUIG I FALLACARA
MAREMMA
Ci abbracciarono le spiagge, malmenati orizzonti
sulla sabbia annerita dai cavalli
verso la notte, alle case cerchiate negli occhi:
l'infanzia è là, impigliata tra le canne
in brandelli di rosso: appena si moriva
insieme ai butteri con una Madonna sola.
Di quel tempo, maremma, uno straccio è rimasto,
una camicia, forse, ròsa dall'alghe,
che ci teneva il cuore, ora che gli orizzonti
si sono vendicati in nubi d'ansia,
in fumate d'addio, ora che il mare
non s'è accorto con gli anni di tradire
anche la nostra vita ferma al muricciolo
e quei passi ha coperto, senza colpa.
 
 
DOVE HO LASCIATO...
Dove ho lasciato il trapezio angelico
degli ideali: e la fanfara in cielo ?
Chi rivedrò su la celeste riva
col battito di un nome
che getta gli anni dietro il proprio suono ?
Non muta
la platea con gli angeli di carta,
aspetti che t'innalzino orando
e non sfiori che ali tarlate.
Mi basterebbe il ritmo di quel nome
che ognuno, dietro, come un tacco d'oro
s'illude di scambiarlo in paradiso.
IL QUADRO
(A Carlo Betocchì)
Vedi, Carlo, la stanza sola, la stanza aperta
la squadra che sé misura, il suo silenzio
sbagliato. E un'altra stanza. Le pareti felici,
la luce che le inganna. Un'ombra è qui, non so,
ma tutti aspettano qualcosa: la squadra
affida il calcolo al silenzio. La strada
fa angolo al suo limite, giuoca un'ipotesi,
il resto è un aquilone tra lo spazio.
 
NOTTE SU ERBA
Notte su erba, pensa la luna,
il carro balla. Canta maremma:
" La barca è una cuna, sogni raduna ... "
notte su erba, luna uno stemma.
E canta: " Mi chiamano maremma,
il cacciator che va perde la penna,
la donna che ci va perde una gemma,
il matto senza cure riassenna ".
Hanno le rondini occhi d'ulivi,
di un tenero diavolo hanno il pelo,
una lumaca portano dai rivi,
sono del diavolo e vanno in cielo.
 
PORTERÀ' SEMPRE ...
Porta la nuvola nera,
la districa dalla luna,
il cipresso, lassù,
alto come un improperio.
E la notte ha le mani legate,
e quel cipresso ! Lungo
come un uomo
porterà sempre la nuvola nera.
 

(nota : l'avere scelto, da questo volume, solo alcuni brani e non altri, non esprime un giudizio critico ma risponde a mere esigenze di spazio)

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