Recensioni marzo 2012

 

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Tina Chiesi Dragoni

Un fiore nella polvere

Ed. Ibiskos Ulivieri, Empoli

Pagine che scorrono tra le mani con andamento morbido senza grandi punte in equilibrio fra loro, distese in un abbraccio consapevole con il lettore che vive ognuna di quelle parole con partecipata empatia così che la narrazione degli avvenimenti procede con lentezza misurata, quasi il proporre le parole centellinate in una equilibrata commistione di fatti e di eventi fosse alla base del pensiero dell’autrice che si prefigge di condividere con il lettore un dolore suo: la perdita del figlio. E tuttavia il dolore che urge, non urla la rabbia, non si atteggia a prepotente antagonista della vita, ma rimane parte della vita, perché così vuole la madre, serena imperturbabile vestale, ancorata al ricordo del figlio che di lei ancora si nutre e con lei vive quasi tornato nel grembo materno. Così le pagine non urlano sofferenza, non ingigantiscono il dolore della perdita fino a renderlo insopportabile, ma si limitano a raccontare di quel fiore nella polvere che giace senza morire per raccontarsi ancora attraverso le parole semplici, ma esaustive dell’autrice. Non si può neppure dire che il libro sia un condensato di frasi e parole espresse con una lingua mortificante di neologismi o pesanti di ricerca linguistica, perché è della forza della parola espressa con la semplicità di un parlare giornaliero che il racconto procede tenuto in vita soltanto dalla necessità di una madre di raccontare il figlio allontanato dalla vita terrena, ma non per questo perduto. Nella seconda parte poi, dove la riflessione interviene prepotente, ripensata nel silenzio, idealizzata o molto più semplicemente rivissuta nel ricordo, il racconto acquista nuova dignità e si propone come autentico messaggio per tutti coloro che della stessa mancanza soffrono o hanno sofferto. Una circonferenza che si chiude nel punto in cui si è aperta, morte e vita che non si propongono lesive una dell’altra, ma si completano e traggono sostentamento dalla loro reciprocità. Il linguaggio non è mai artificioso, ma duttile e comprensibile, non si propone mai con il risultato di una ricerca linguistica, né si lascia andare a criptiche interpretazioni, ma si apre alla lettura nudo di rabbia o insofferenza, guidato dalla semplicità che nasce da una visione serena del quotidiano.  (Giuliana Matthieu)

 

Gianna Sallustio “Nella valle dei monaci giganti” Genesi Ed. Torino 2011 pagg. 142, € 15,00 Il testo della nota scrittrice pugliese contiene vari racconti ma l’attenzione del lettore si concentra sul primo dal quale deriva il titolo della silloge. Esso, come altri testi della Sallustio, è ispirato dai viaggi che la scrittrice compie. Infatti anche se la vicenda si svolge tra Istanbul, Ankara e la Cappadocia (nell’arco di tempo di due anni, 2009-2010), l’ispirazione è nata in Tibet (maggio 2007) dinanzi alle vette eternamente innevate dell’Himalaya ed ai templi di divinità che non sempre ci sentiamo di dichiarare siano “falsi e bugiardi”. È Storia? È ricerca di una Religiosità ossigenante, libera da sovrastrutture istituzionali? È professione di impegno civico-etico che si elevi a coraggio di disturbare i rapporti di forza? È un giallo? O forse il tema recondito è il viaggiare, la ricerca di se stessi a confronto di diverse civiltà ed esotici paesaggi? È tutto questo, raccontato in una prosa fluida e appassionata. Viaggiare come la forma più concreta di conoscenza, di ricerca per impedire a se stessi di adagiarsi nella nicchia delle certezze, viaggiare per allargare le pareti, a volte strette, della mente e del cuore; viaggiare per confrontare le proprie coordinate politiche, religiose e culturali con altre più o meno evolute. E ... una volta tornata alla sua scrivania l’autrice continua a viaggiare verso un mondo meno crudele, raccontando storie miste di “vero e di invenzione” dove invenzione è recupero di valori come la solidarietà, il sacrificio, il lavoro, l’assillo per la verità che spudoratamente la legalità camuffa o tradisce. Se il suo è idealismo risibile da parte dei realisti, la Sallustio risponde nel testo che il pragmatismo affaristico di politici, banchieri e compagnia brutta... deve suscitare vergogna e ribrezzo. Come salvarsi dagli inganni del sistema? A Tiziano Terzani si rifà Gianna Sallustio per auspicare, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, una rivoluzione culturale dettata dal cuore, tralasciando coraggiosamente capitalismo selvaggio e immondo e dogmatismi beceri. Quella svastica, nata in arcaici tempi come simbolo stilizzato del Sole, della Luce, nella mente interessata di mercanti di merce avariata diventa oggi metafora di superiorità di razza, di religione propagandata sulle scuole! In faccia a tutti coloro che detengono il potere finanziario e condizionano la sorte di popoli usati come scendiletto, il “je accuse” di G. Sallustio è uno solo: vigliaccheria etico-sociale; bancarotta fraudolenta davanti alla Storia e davanti a Dio. Anche gli altri racconti sono interessanti per la trama e vibranti per espressione. In particolare l’ultimo, intitolato “Adieu” in cui il nipotino Mimì è protagonista, a quasi tre anni, di un episodio gustoso, ironico e tenero.  (Vanna D'Agostino)

Gianna Sallustio

Nella valle dei  monaci giganti

Genesi Ed., Torino 2011

 

 

 

 

 

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