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Antida Gazzola
La collina del labirinto
Ed.SanLorenzo2012.Lugano
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Un po’ tutta uguale la narrativa di oggi, più o meno come le presenze femminili che invadono gli schermi televisivi, tutte ugualmente belle e vuote , capelli biondi e lisci, visi angelicati, ma la sostanza non c’è. Ebbene stessa sorte per la prosa, la punta di originalità non esiste più. Una scrittura piana, per carità anche scorrevole, talvolta elegante, indubbiamente corretta, ma inefficace. Ebbene la prosa artistica di Antida Gazzola della cui preparazione culturale non si discute, morde dentro e scuote anche la più impermeabile delle menti. Diversa, scattante, rigorosamente intellegibile esula dai soliti codici narrativi e si allarga come un grande mantello pagina dopo pagina a coprire la nostra sete di bello. Siamo lieti che la scrittrice abbia privilegiato le pagine della nostra rivista appoggiandoci le perle del suo walking about.
(Giuliana Matthieu)
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Eccoli i sensi, già presenti nel titolo: il tatto (freddo) e l’udito (rumore) - nel libro si parlerà di desiderio di suoni -, ma il lettore ne scopre altri che si confondono persino - sudo col pensiero e penso col sudore - inoltrandosi nella lettura di questo racconto di una ragazza tossicodipendente. Diario disperato di un’azione che si svolge tra la stazione di Padova e il ricovero in ospedale. Anche l’olfatto ha un ruolo importante, è esaltato: Esplodeva la violenza degli odori in tutta la sua lussuosa sensualità (p. 40). La protagonista vuole fissare in ogni senso anche ciò che può far sanguinare gli occhi e il cuore (p. 41). In effetti, la protagonista, di cui non si sa il nome, non ancora trentenne, con lucidità scava dentro l’anima alla ricerca di se stessa, si racconta e sollecita lei stessa la conquista ripetuta di sensi, del violento sentire, del “sentire” ossessivo - ogni odore, ogni dolore, ogni sprazzo - che conduce a guardare quel cadavere che mi preme tanto vedere, conoscere e riconoscere nella svolta alla Morte, sentire quel corpo morto e gonfio e putrefatto (si tratta del corpo dell’amica Manu) o a baciare quelle labbra ormai fredde. Vedere, insomma “essere”, e c’è l’immensità delle emozioni. Basti per tutte quella riferita alla cara amica Emanuela morta:Subito, si era impadronita della mia anima sottile, avvolgendola con la sua generosa bellezza (p. 22) e, parlando di questo suo rapporto, lo definisce rito sensazionale…era come toccarsi nel più profondo (p. 23). I sensi e i sentimenti si confondono. Manuela non è l’unica figura evocata, c’è anche quella di Antonio, ventisei anni, ricordato con straziante tenerezza, morto, per qualche pasticca e un po’ di vino, abbracciato alla narratrice, vestito di un nulla sgargiante. C’è anche quella di Mirko, violento e indispensabile. Tra pensieri confusi e opachi, la stanchezza di questa creatura è data dalla lotta contro il male terribile rappresentato dalla droga, ingannevole paradiso artificiale. In un’altalena costante tra amore e odio, sedotta dalla Morte, la protagonista gioca con lei, gioca con la solitudine; svuotata del presente, vive nel ricordo del passato, convinta che la vita sia una fregatura (convincimento ripetuto più volte) anzi un problema. La narrazione è serrata, forte negli accenti, allucinata e la rievocazione della giovane donna morta, Manu, commovente:Con il suo abituale vestitino rosso che le scivolava addosso come acqua lungo i fianchi sopra le ginocchia, e i capelli sciolti color dell’oro rosso esaltavano quei grandi occhi pieni di un delirio folle ed abbagliante (p. 25). Follia corrode queste anime e questi corpi. Droga, perché? Per fuggire dalla vita, dalla sua noia, banalità, falsità, ipocrisia, condizionamenti, dalla malattia del mistero della vita, dal suo inganno.
Il freddo rosario del tempo, la fredda angoscia, il freddo rumore, la notte fredda, il soffio di freddo, il sangue si raffreddò ecc.: questa sensazione così forte che pervade il testo - il freddo scendeva sul tuo corpo e sui miei pensieri insieme - è quello della distanza, della solitudine, della morte, della mancanza di carezze con la struggente speranza che il cuore venga scoperto e che la mente, malata d’amore, guarisca.
Una metafora corre per tutto il racconto ed è quella delle ali: perse e invocate a gran voce per smaterializzarsi. Ma le ali si conquistano a prezzo di una educazione iniziatica e purificatrice, spesso lunga pericolosa. Ali per volare e vedere ogni cosa, ogni respiro e precipitare dentro la mia anima. Ali protettrici, ali segno di folle libertà.
Non è un caso che la protagonista sia una scrittrice, una poetessa per l’esattezza: scrivere allontana la morte (liquefà).
(Fausta Genziana Le Piane)
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Nicola Rampin
Il fredddo rumore
Ed.Eventualmente 2010
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Laura Rainieri
La Bassa piana e le Fontanelle
Ed. Tielleci
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Dopo alcune pubblicazioni di versi e di narrativa, sempre seguite da un notevole successo di pubblico e di critica e, segnatamente, dopo aver fissato la propria attenzione sulla figura materna per onorarne la scomparsa con l’emozionante raccolta E serbi in sasso il nome(2010), Laura Rainieri ora volge lo sguardo alla ‘Madre Terra’, ovvero a Fontanelle, suo paese natale, nonché, per estensione, alla Bassa Padana, da cui si allontanò anni addietro per venire a vivere a Roma, ma con cui ha continuato a intrattenere un intenso rapporto affettivo.
Infatti, come la madre è fonte di vita, così la terra è radice, perciò, se le vicende umane portano i nativi a vivere altrove, è sempre a quella radice che essi seguitano a sentirsi legati, quasi una sorta di cordone ombelicale mai reciso. È dunque questo legame a ricondurre Laura verso il ‘suo’ grande fiume, a far sì che ella ne oda il suono delle acque e accanto vi senta vibrare il cuore dell’erba: frammenti temporali che, per dirla con John Keats, si reincarnano continuamente. Sembra addirittura che Laura, con il suo racconto in versi, voglia far eco alle parole del poeta inglese, che recitano così: Percorrere il regno / di Flora e del vecchio Pan: dormire sull’erba/ cibarsi di rosse mele e fragole[…]E potrò mai dire addio a queste gioie?.
Addentrandoci nella lettura della raccolta, alle poesie vediamo alternarsi immagini fotografiche di mirabile bellezza artistica, un denso apparato iconografico che, aprendo spazi alla visualità, aumenta il fascino del racconto poetico.
Di queste immagini, quasi sempre è protagonista il fiume nelle cui acque si riflettono ora le rive placide, ora danneggiate dalle disastrose alluvioni con le dolorose rovine che vi hanno prodotto. Un dolore, però, mai ripiegato su se stesso, ma capace di spingere, chi ne viene ferito, all’azione indefessa pur di ridonare rigoglio e dignità a una terra oltraggiata da devastanti eventi, talora naturali, più spesso provocati dall’incuria dell’uomo.
Le parole poetiche di Laura riescono a creare da elementi materici, quali la terra e l’acqua, quello stesso incantamento che Fellini creò nei suoi film e, insieme, a renderne palpabile la sacralità, sublimando l’una e l’altra nei versi, come in una preghiera corale.
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Poesia, musicalità, ampiezza di visione figurativa sapientemente mischiate in quest’opera, rinviano a un simbolico ritorno nel materno liquido amniotico, qual è per Laura l’immersione nelle colate di acqua che si trovano in Fontanelle e in Fontana. Serpeggia, dunque, nel poema un flusso di vita fantasmagorico, ma insieme realistico fino all’ultimo sangue, come lo è il liquido nel grembo materno dove nasce la vita. Ed è la stessa vita, fatta di poesia e d’amore, che Laura Rainieri sente scorrere nelle vene, pulsante come il suo fiume, a generare in noi lettori la percezione che quelle acque siano un poco anche nostre, tanto che se qualcuno, per assurdo, avesse scordato il fiume della propria origine, attraverso questa percezione, possa gioiosamente ritrovarlo. (Franca Maria Ferraris)
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