Recensioni maggio 2015

 

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La casa sullo scoglio di Rosa Barretta Martusciello

A volte non solo gli armadi  nascondono scheletri imbarazzanti. A volte può capitare di imbattersi, anche tra gli scaffali del più placido degli arredi domestici, la libreria, in spartiti musicali ingialliti dal tempo, magari custoditi in cassetti segreti e protetti da ingranaggi difettosi, tenuti forzatamente a distanza dagli occhi e dal cuore. E a volte è sufficiente un pizzico di curiosità, guidata dall'ispirazione del momento e dalla tenacia dell'ingenuità, a riscoprire verità ingombranti celate nella spessore di un foglio stropicciato dagli anni, silenzioso testimone di un passato irrisolto. Nel romanzo di Rosa B. Martusciello (edito da lbiskos-Ulivieri) spetta al protagonista, giovane di bellezza e talento non ordinari, sensibile al linguaggio dei fiori e del vento come alle note dell'anima, liberare attraverso la musica un segreto confinato per interi decenni in uno sperduto ripiano della libreria e della memoria, restituendo finalmente alla storia della sua famiglia il tassello mancante: il legame di sangue con il più grande poeta spagnolo del Novecento, dal quale ha inconsapevolmente ereditato il nome e le doti artistiche. È Isabella, la nonna del ragazzo, a narrare al figlio e al nipote - ammutoliti, increduli, infine orgogliosi - le tappe della sua intensa relazione con il celebre letterato, conosciuto, ammirato e amato perdutamente nella Spagna del 1934, meta dei  suoi primi concerti all'estero. Lei e una giovane violoncellista, lui un autore già notissimo. A legarIi, nei mesi trascorsi tra Siviglia e Granada, un intricato groviglio di emozioni: stima reciproca, ammirazione, amicizia, sincerità, affinità di mente e di spirito. Ma anche, inevitabilmente, una passione amorosa assoluta e straziante, alimentata dal comune miraggio di felicita offerto dall'evanescente "casa sullo scoglio" al largo delle­ coste andaluse, eppure ostacolata dall' immateriale, sebbene altrettanto irremovibile, "scoglio" dell'omosessualità del poeta, che confessa a Isabella di non aver mai amato altre donne. Assieme al sentimento, la storia è protagonista indiscussa del romanzo della Martusciello. Nelle segrete inquietudini del poeta e nel suo coraggioso impegno per I' emancipazione culturale si rispecchiano, infatti, tutte le contraddizioni della Spagna degli anni Trenta, con I' oppressione e il fanatismo politico del Franchismo da un lato, e l'orgoglio nazionale (simboleggiato dalla Corrida), con l'insopprimibile desiderio di liberta del popolo, dall'altro. Sullo sfondo, la conturbante modernità dei due più grandi artisti spagnoli del secolo scorso: Picasso e Dalì. Per questi aspetti La casa sullo scoglio­­ rimanda, indubbiamente, alla suggestione del romanzo storico, un genere dinamico e complesso che vanta ormai duecento anni di successi ed evoluzioni, dall'immaginario gotico-medievale degli scrittori romantici ai grandi affreschi sociali privilegiati dagli autori veristi, fino alle biografie romanzate di celebri letterati e artisti del passato, in cui storia e immaginazione si intrecciano alla sconfinata ammirazione per capolavori indimenticabili (tra gli esempi pili recenti, il notissimo La ragazza con I' orecchino di perla di Tracy Chevalier', ispirato all'omonimo dipinto di Vermeer). Del romanzo storico I' Autrice recupera però anzitutto il presupposto fondante, quel fragile equilibrio di realtà e invenzione, da Manzoni incautamente destinato al fallimento, che la Martusciello arricchisce di una buona dose di emozioni e mistero, giusto per tenere in sospeso il lettore fino all' ultima, inaspettata, rivelazione finale.­­

 Alessandra Biancalani

 

 

 

 

 

Tu es Petrus, l'inizio del papato romano

di Carlo Forni Niccolai Gamba

In un “furor scribendi” che ha pervaso la storia dell’uomo dai tempi dei babilonesi e degli egizi, cinquemila anni fa, stupisce che durante la predicazione di Gesù non sia stata scritta una sola parola che lo riguardasse, né Gesù stesso scrisse alcunché, eccettuato poche parole segnate con un dito nella polvere (e che certo non volevano dare un significato effimero alla scrittura).  Vero è che, quattro secoli prima di Gesù, un grande ateniese, Socrate, parlò molto ma non scrisse una parola, perché lui esaltava l’importanza della parola nel dialogo, nell’interazione viva e immediata con altre persone, cosa che non sarebbe stata possibile scrivendo. Però scrissero molto su di lui i suoi discepoli, immediatamente dopo la sua morte; primo tra tutti il filosofo Platone e quindi lo storico Aristofane, da cui sappiamo molto sulla vita di Socrate e sui suoi dialoghi, ma non abbiamo la certezza che ciò che ci narrano sia vero o originale. I primi scritti cristiani sono probabilmente gli Atti degli Apostoli, databili dal 46/50 d.c. mentre i Vangeli sinottici si fanno risalire agli anni successivi alla distruzione di Gerusalemme del 70, il Vangelo di Giovanni viene invece datato alla fine del 1° secolo. Inutile cercare scritti più vicini all’epoca di Gesù e in realtà tutti gli scritti che ci sono giunti, anche i papiri di Nag Hammadi, Egitto, scritti in lingua copta risalenti al III e IV sec. comprendenti una piccola biblioteca di scritti e vangeli gnostici, sono stati probabilmente tradotti da originali in greco databili all’anno 80 d.c. Fuori dalle chiese cristiane vi sono state cronache che parlano di Gesù  e del Cristianesimo; gli scritti più noti sono quelli di Giuseppe Flavio, uno storico romano di origine ebrea che però scrisse a partire dal 75 d.c. Non dimentichiamo infine che la maggior parte delle testimonianze, incluso quelle cosiddette canoniche, ci sono giunte manoscritte e trascritte attraverso i secoli e spesso tradotte. Ciò significa sempre una perdita di originalità: traduttore-traditore, già esprime il senso.  Tutto questo per dire che sulla vita di Gesù non si hanno fonti certe e contemporanee.  In più la carità cristiana e lo zelo religioso hanno portato nel tempo drammatici cambiamenti ai documenti originali, la messa al bando degli scritti gnostici già dal 2° secolo (Ireneo di Lione, “Contro le eresie”) ha ridotto molto le fonti; in breve, di sicuramente autentico oggi ci è rimasta la fede. Infatti con fede l’autore, Carlo Forni, si avvicina al difficile compito di dar vita ad un personale Pietro Apostolo, attraverso la narrazione fatta a Lino, suo successore alla cattedra episcopale romana dal 68 al 79 d.c., a partire dal periodo vissuto con Gesù fino agli ultimi giorni della sua vita (64-67?). Ne esce un ritratto molto umano ed ingenuo, come poteva descriversi un povero pescatore ignorante, ritroso nel parlare (ma questa è un’attitudine che aveva in comune con Mosè), ricco soltanto della sua fede e delle sue debolezze. L’autore rispetta l’idea fondamentale del cristianesimo delle origini, una religione alla portata di tutti: avvicinare l’uomo a Dio avvicinando Dio all’uomo “et verbum caro factum est”. È solo con l’avvento del papato e del clero medievale che si scopre l’importanza di creare un mistero, perché creare un mistero dà più potere che scioglierlo. Così nascono i dogmi. Nella religione cristiana delle origini la preponderanza del divino è inequivocabile, nell’arroganza del cristianesimo posteriore ai decreti teodosiani (392 d.c.) e nel potere del papato romano poco c’è di divino e molto di umano. Nel Pietro Apostolo di Carlo Forni c’è molto di umano e molto di divino, anche i miracoli, che pure sono descritti piuttosto frequenti, appaiono avvenire secondo una consuetudine di cui Pietro è depositario e di cui sembra non stupirsi più. La sua umanità traspare fin negli avvenimenti più spiccioli, nei dettagli della vita quotidiana, nelle piccole vigliaccherie, nei timori e nelle esaltazioni e finalmente nella sua testimonianza di fede nel momento del ricongiungimento a Dio.

 Arturo Molinari

 

 

   

 

 

 

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