Recensioni marzo 2017 |
Gianluca Giunchiglia OTTOVOLANTE Al di là della porta chiusa, avverti un movimento, un
timido brusio. Giri la maniglia. Apri, lentamente, badando a non fare rumore. A
non svelare la tua presenza a chi si trova nella stanza, e sta vivendo la sua
storia, unica e privata, come ogni altro giorno. Ma la curiosità, inutile
negarlo, è troppo forte; e allora infili piano la testa, scorgi delle figure, e
cominci ad ascoltare ... Questa la sensazione che si avverte immergendosi nella
lettura del nuovo lavoro di Gianluca Giunchiglia. Quella (quasi colpevole, ma
intimamente necessaria) di sbirciare, almeno per un fuggevole momento,
nell'ignaro diario dell'esistenza altrui, intingendo il proprio sguardo
indiscreto fra le pieghe, talvolta stropicciate, dell'umana quotidianità,
spesso filtrata attraverso il punto di vista femminile, a cui l'autore presta
particolare attenzione, come si evince anche dall'evocativa poesia di Emilio
Sidoti, moderna e struggente ode alla donna, che degnamente introduce i dieci
racconti che compongono la raccolta. E così entriamo, in punta di piedi,
nella camera da letto di un'adolescente alle prese con i fremiti ribelli del
primo amore. Nella mente di un ragazzo che cerca solo la chiave per comprendere
se stesso, e in quella di una madre che si rende conto che solo il sacrificio
del proprio egoismo può donare al figlio la meritata libertà. In un anonimo
supermercato, dove una giovane spreca il seme fertile del suo talento,
asservita ad un lavoro opaco e senza sbocchi. Nell'asettico soggiorno di una
coppia che ha smarrito la strada rassicurante della complicità, tra rituali
ormai consunti e sterili risvegli. Su una strada assolata, dove l'idillio di un
giorno di vacanza appena iniziato s'infrange contro il bianco accecante di un
lenzuolo. Mentre, altrove, teneri sentimenti prendono a germogliare, e la
primavera della memoria regala materne carezze di paesaggi lontani. Stanze,
reali o metaforiche. Istantanee di vita, luoghi in cui il filo delle azioni e
dei pensieri instancabilmente si dipana, calcando le orme di un percorso a tratti
scosceso e imprevedibile, spesso accompagnato dall'ombra ingrata della
solitudine. Perché far parte di questo mondo, a volte, non è per niente facile.
Lo spietato mito della perfezione incide l'autostima come un bisturi. Parlare
di sé, guardare l'altro dritto negli occhi, senza alibi, trucchi o
sovrastrutture (documenti falsi che spacciano l'illusione di renderci
migliori), nell'era dei social network e delle foto ritoccate, può davvero
rappresentare l'ultima, irriverente frontiera. Perché l'inconcludente
strascico dei giorni può abbeverare l'amara sorgente dell'apatia, portandoci
tristemente a credere che non esista una soluzione all'ignota, subdola malattia
che ci affligge, prendendoci per mano verso l'ennesimo miraggio. Perché
Cavaliere Tempo, si sa, ha sempre fretta, corre veloce. La sua è una segreta
missione; non può certo fermarsi ad aspettare chi, col fiato rotto, o ferito
per aver troppo inciampato, ha confuso il cammino, rimanendo indietro. La
penna dell'autore non giudica, è imparziale spettatrice; accarezza, morbida ma
attenta, cogliendo l'impercettibile. La natura, ritratta col suo complice
ventaglio di colori e profumi, ridesta dal torpore e fa sognare. I ricordi
attendono, sulla soglia della casa del cuore. Il rapido movimento degli sguardi,
il racconto dei silenzi, il gioco delle luci, speso secondo il mutevole stato
d'animo dei protagonisti, disegnano, con tratti delicati ma precisi, un piccolo
universo di altri noi stessi, uguali e diversi, testimoni di medesime
inquietudini e fragilità. Caleidoscopio di intenti troppo a lungo taciuti;
destini che reclamano il proprio, irrinunciabile diritto alla felicità. Un
ottovolante, appunto, che ci strappa brividi di consapevolezza, sfrecciando tra
brusche discese e coraggiose risalite. Perché, forse, la sciarada della vita
può ancora regalare epiloghi inattesi. Forse, se riusciamo a zittire la
vertigine che ci solletica la bocca dello stomaco, e la paura atavica del
vuoto, dal punto più alto, sospesi in un limbo d'azzurro, possiamo scorgere un orizzonte
che porti il nostro nome; quello che ci spetta di diritto, ma che ancora
dobbiamo guadagnare, finalmente incuranti del sardonico circo dei giudizi e
delle critiche. Forse, se chiudiamo il capriccioso turbinio del mondo fuori
dalla testa e dal cuore, e ci soffermiamo un istante, in ascolto, posando sul
tavolo la soffocante zavorra dell'inutile, esiste, e magari neanche tanto
lontano da qui, il sentiero che può condurci alla salvezza, riscatto di
un'esistenza scevra di emozioni e vittorie. Basterà non cedere alle facili
lusinghe di un "prestigiatore" da strapazzo, o ci ritroveremo a
ridere della nostra immagine riflessa nello specchio. Francesca Migliani
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Agnese Metta "Stringendo un colorato nulla tra le mani
(19 luglio 1943 - 4 giugno 1944)" ed. Tipolito Tamari snc Bologna 2016 In questo breve racconto,
l'Autrice rivive nella memoria la propria esperienza, narrata in terza persona
col nome di Clara, di un' adolescenza sfiorata dalla 2^ Guerra Mondiale (esperienza
comune ai molti ancora viventi della nostra generazione). Con un tocco di
delicatezza, quasi a salvaguardare retrospettivamente la vita della fanciulla
che sarà, l'Autrice ripercorre le tappe della catastrofe storica ed umana
svoltasi in quei pochi mesi. Periodo cruciale in cui, partendo da una fase di
remoti timori per I'avvenire, alternati alla speranza che tutto si risolva
senza gravi traumi, si passa ad un crescendo di terrore sempre più incalzante e
tragico per il precipitare degli eventi, fino alla distruzione totale di un
mondo illusorio e la ricostruzione, inizialmente controversa e difficoltosa, di
un mondo migliore. Tappe che si materializzano nelle vicende della famiglia,
saggia, unita e coesa, costretta a ripetuti spostamenti nella ricerca di un
luogo dove poter sopravvivere. "Un giorno della sua vita" (di Clara) è
appunto il 19 luglio 1943, il decimo dopo lo sbarco degli anglo-americani in
Sicilia, giorno da lei considerato in seguito lo spartiacque tra l'infanzia
felice e l'adolescenza. In esso si ebbe il bombardamento di Roma e
dell'Aeroporto di Ciampino con relativo borgo di cui il padre era Capostazione,
dopo il quale, all'uscita del rifugio improvvisato che aveva salvato parecchie vite,
i sopravvissuti trovarono inagibili le loro case e le attinenze. Cosi la
famiglia, radunate le poche cose possibili da portar via, un po' a piedi e un
po' con mezzi di fortuna raggiunse stremata la casa della zia materna a Marino.
Significativo il sonno di Clara spossata, che, durante il tratto finale
percorso in calesse, le fa perdere il sacchetto con le ultime preziose uova
della sua povera gallina morta. Alla fine di questo orrendo giorno però torna l'ottimismo
quando il padre, dopo essersi recato in bicicletta verso Roma per soccorsi, si
riunisce a loro: siamo al tramonto del giorno, ma, ora che si trovano ancora
tutti insieme, per Clara quella è pur sempre l'alba di una nuova vita. Nell'
apparentemente esile narrazione di Agnese Metta non manca una ben precisa e determinata
cognizione dei fatti storici, delle loro dinamiche, implicazioni, cause ed
effetti nonché una valutazione degli eventi meditata ed obiettiva, priva di
pregiudizi. Il filo portante della vita di Clara è sostenuto da una serie di
momenti scelti e messi a fuoco con sincera sensibilità da cui emerge il mondo
degli affetti, dei sogni e delle sensazioni della bambina ma anche la sua già
solida costituzione umana, capace di elaborare e neutralizzare paure e prove
sconfortanti, pronta a rigenerarsi ad ogni spinta positiva proveniente dal
prossimo e dalla sorte. Di gran valore, a mio avviso, è anche nutrito corredo
di annotazioni ambientali che ci calano nelle diversificate realtà dei luoghi
dove gli eventi si svolgono o dove si svolge la stessa vita dei protagonisti.
Spesso, con pochi cenni si delineano interni dove ti senti partecipe delle
attività domestiche e ne avverti suoni e odori, oppure in un ambiente campestre
puoi avvertire le vibrazioni dell' atmosfera nel tepore del sole o la danza
delle foglie tra riflessi e brezze. Importanti le descrizioni dei beni
paesaggistici perduti come il paese di Roccaraso, il centro storico di Marino
e, precedentemente, il borgo di Ciampino. Coinvolgenti i momenti del terrore
collettivo e la resa di scenari di distruzione, ma anche quelli in cui
l'Autrice ci rende partecipi della psicologia e delle risorse dei personaggi
nell' affrontare situazioni di grande rischio. Una ricchezza di talento
letterario che travalica le poche pagine di questo racconto e ci induce a
sperare in altre anche più vaste realizzazioni. Maria Teresa Bini |
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Luciana De Palma Il melograno Ed. Città del Sole Una Istanbul quotidiana ed insolita, attraversata da un
vento di cambiamento, la vera protagonista del libro 'Il melograno' di Luciana
De Palma, pubblicato ad aprile 2016 dalla casa editrice reggina Città del Sole.
Un racconto che si snoda metaforicamente durante una corsa rallentata dal
traffico di quella che è la sesta città del mondo per popolazione. Durante il
viaggio Nazif osserva i volti degli altri passeggeri che casualmente fanno
riemergere ricordi e danno il via al racconto di una storia. Nel maggio 2013 un
gruppo di ambientalisti organizza ad Istanbul una manifestazione di protesta
contro la decisione, presa dagli apparati amministrativi della città, di
smantellare il parco Gezi per costruirvi un centro commerciale. In realtà è
l'inizio di una protesta democratica contro il regime: la polizia usa una
sproporzionata violenza contro i manifestanti e iniziano giorni di scontri, di
resistenza. I numeri di chi protesta crescono, le forze dell'ordine sono
costrette a bloccare l'accesso del ponte sul Bosforo per evitare che altre
persone arrivino dal lato orientale della città. Il fermento sociale trasforma
il Parco Gezi in un presidio: tende da campeggio, presenze mediche, aree per i
figli dei manifestanti, distributori di acqua e di cibo, corsi di yoga e non
mancano le biblioteche che distribuiscono gratuitamente i libri agli studenti.
Una battaglia a suon di mestoli sbattuti sulle pentole e di libri, a cui
partecipa Lemi, fratello di Nazif, poeta coraggioso e incompreso dai più, che
per i suoi versi sovversivi viene inserito tra i ricercati della polizia.
Triste il paese che è costretto ad inserire un poeta nelle liste dei criminali,
debole il potere totalitario e retrogrado, incapace di comprendere la forza di
protestanti infreddoliti di fronte ad un falò. Immagini trasmesse dai
telegiornali che attraverso la penna di Luciana De Palma diventano un romanzo
storico, in cui la vita di Nazif e Lemi si snoda sullo sfondo delle
manifestazioni in piazza Taksim, dando un'identità narrativa a due tra quelle
anonime individualità, l'una all'altra sconosciute, che sono alla base di ogni
rivoluzione, che sono azione e pensiero. Diverse le esistenze dei due fratelli,
legate però a doppio filo: due vite diverse, due anime straordinariamente
simili. Nazif sembra nel racconto prima un ragazzo e poi un uomo del suo tempo:
affascinato a quindici anni dalla compagnia trovata nelle case di tolleranza di
Istanbul, poi marito di una donna scaltra e vuota e padre di un figlio su cui
la moglie non gli lascerà avere alcuna influenza a livello educativo. La
capacità di Nazif di percepire la necessità di un cambiamento arriva attraverso
l'osservazione del comportamento del fratello minore Lemi, che proverà sempre
per Nazif un profondissimo affetto, ma avrà una vita diversa. Poeta
ossessionato dal desiderio di libertà, Lemi resterà da ragazzo sempre simbolicamente
fuori da quella casa di tolleranza, nonostante gli insulti e i pestaggi di
attaccabrighe che lo deridono. Un episodio simbolico che rappresenta la
volontà di scegliere una strada diversa da quella percorsa dai più. Lemi dopo
la scuola farà mille lavori per potersi mantenere, con un unico obiettivo:
scrivere. Tradurre in poesia i moti di un'anima inquieta ed attenta a scrutare
l'essenza del suo tempo, caratterizzato dalla mancanza di libertà. Lemi paga
l'affitto del suo monolocale usando le sue poesie come cambiali, Lemi smaschera
l'ipocrisia della cognata con una semplice domanda sulla poesia, il regalo di
Lemi per il nipotino appena nato sono versi di poesia. La poesia che diventa
metafora di libertà, perché l'una non esiste senza l'altra, o almeno senza il
desiderio dell'altra. E così i disordini di piazza Taksim diventano di riflesso
le lezioni di storia di Nazif, che nel liceo in cui insegna inizia a far
leggere i quotidiani, invece di svolgere le tradizionali lezioni frontali, per
contribuire a quella lotta che suo fratello, il poeta sovversivo, il suo
secondo se stesso, sta portando avanti da una piazza contro la polizia, contro
il regime, contro un mondo a cui non sente di appartenere, ma che ama al punto
da pensare che sia possibile cambiarlo. Elisa
Latella
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