Recensioni luglio 2014

 

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Bruno Ferrari – Là… dove sorride il sole – Ibiskos Ulivieri, Empoli

 In una bella veste editoriale che porta la firma della casa editrice Ibiskos, accurata come sempre, forse più di sempre per l'introduzione di immagini che rispondono per certi versi alle esigenze dell 'autore, Bruno Ferrari, medico letterato, costantemente alla ricerca di interpretazioni e spazi nuovi per destare la curiosità di un pubblico colto, si ripropone con una raccolta di poesie "La dove ... sorride il sole". Sostanzialmente un' antologia, ovvero l'antologia studiata e composta per un pubblico di adolescenti. Ferrari ama i giovani, sente di dover insegnare loro qualcosa perché il mondo sul quale hanno aperto gli occhi e nel quale devono vivere non è certamente quello dei sentimenti buoni di De Amicis. Allora il nostro medico poeta si riallaccia alla sua infanzia senz'altro più bella, genuina, fatta di aquiloni, di camminate nei boschi, di merende con pane burro e marmellata, oppure olio e aceto senza scomodare la stragrande abbondanza di prodotti commerciali dai nomi più stravaganti che hanno fatto dimenticare­­­­­ il buon sapore della marmellata fatta in casa o della pasta tirata con fatica sulla spianatoia, e intesse un dialogo con la sua anima. Oggi c'è tutto di tutto e, questa globalizzazione ha fatto e fa perdere di vista l'essenza delle cose. Ebbene Ferrari con la gentilezza che gli è propria, ricorda ai giovani con un misto di rammarico e tenerezza che Là dove sorride il sole, in quel luogo dove avvengono ancora i miracoli ... accosto per gioco la mia alla tua bocca di carta ... e come d'incanto ... batte il tuo cuore accanto al mio e ancora scopre che i piccoli astri neri­ nel prato sono margherite e più avanti che dovrebbero esistere bimbi che non diventano mai grandi/ per avere così un mondo giocondo/ di bimbi e balocchi e più avanti quando sorridi il miracolo si compie. Le nuvole fuggono via e il cielo diventa sereno ... Da questa prima affrettata lettura evince chiaramente la sottesa emozionalità del poeta che, senza ombra di dubbio, vorrebbe sposare la poesia perché non si trova a suo agio nel mondo nel quale gli è stato dato di vivere, quindi si rifugia in questo illusorio paradiso nel quale gli occhi delle stelle imperlano /il nero mantello della notte/ e l'angelo del mare/ stende/l'azzurro velo del silenzio / sulle barche addormentate. Poesia dunque assolutamente priva di malizia, doppi sensi, sentimenti malsani, ma un crescendo di toni e sottotoni, quasi sinfonia da registrare dentro. Sono i passeri, i gabbiani, le rondini, le formiche, le cicale e la sonorità educata del loro canto a ingentilire la giornata fornendo anche un motivo per vivere meglio. E in questa sinfonia di voci e parole la vita acquista un sapore diverso mentre si dileguano, quasi impalpabile nebbia, dispiaceri, risentimenti, malintesi e malignità. Chiaro che in un mondo così fatto c'è posto soltanto per gli innocenti, i poveri di spirito, i fanciulli (attenzione però quelli­­­­ che sanno ancora giocare a nascondino o a ruba bandiera) certamente non coloro che hanno troppa dimestichezza con internet e tutte le diavolerie connesse, ma i semplici bambini di una volta di cui forse si è persa la matrice e si è rotto lo stampo, perché il mondo gira troppo alla svelta e i mesi si rincorrono senza darci il tempo di gustare la primavera per l'incalzare frenetico delle altre stagioni. Lunga vita, dunque, a chi pensa e scrive come il nostro poeta filosofo, ancora bambino, senza nessuna voglia di crescere.­

Giuliana Matthieu

 

 

 

 

 

Ornella Marmeggi - Cristo si è vestito di rosa – Ibiskos Ulivieri, 2014

È la sesta opera, o meglio la sesta fatica di Ornella Marmeggi, perché un libro è una fatica anche per chi ama scrivere. Scrittrice feconda quindi e particolarmente vocata a narrare i problemi dell’emarginazione, attraverso testimonianze romanzate di “diversi”, barboni o, come in questo libro, omosessuali. Le pagine si aprono con un artificio letterario, l’autrice incontra un’affermata scrittrice americana, Ester, che ha deciso di trascorrere il saldo della propria vita in uno sperduto angolo di mondo. Gli incontri si susseguono e l’intimità che nasce favorisce le confessioni. Ester acconsente di leggere alla nostra autrice il manoscritto dell’ultimo suo romanzo, mai pubblicato, la storia di Rosa.  La storia di Rosa si svolge in un paesino della costa toscana, a partire dal 1950. La data è importante perché gli omosessuali esistono da sempre, ma la loro presenza nella società suscita reazioni diverse a seconda dei tempi e per tempi documentati intendiamo da Aristotele ai giorni nostri, passando per Leonardo da Vinci. Però non c’è senso critico o compiacimento letterario, né invito alla comprensione né intenzione di perdono in queste pagine. Perché non c’è nulla da perdonare nella coscienza del proprio essere. Dobbiamo perdonare a un gatto di essere gatto? Dobbiamo perdonare  a un uomo di essere uomo? E allora perché pensiamo di dover perdonare a un  omosessuale di essere tale? Perché ci sono tipi diversi di omosessuali, si potrebbe obiettare, ma in realtà ci sono solo espressioni diverse della propria natura, a seconda della forza e della maturità di chi veste questa maschera. Ecco, proprio di maschere potremmo parlare. Appena terminata la lettura il pensiero mi è corso improvvisamente a un’opera di Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”, a quei personaggi schiavi delle loro maschere e di come Vitaliano, dopo aver sfiorato la pazzia, scelga la vita che chiede di essere mutevoli ogni giorno anziché la maschera omologata dalla società. Vitaliano è il personaggio principale e per una bizzarra assonanza il personaggio principale del racconto di Ornella si chiama Vittorio, che è amato quietamente da Rosa. Anche nell’opera pirandelliana c’è Anna Rosa, ma lei invece spara a Vitaliano. Tornando al nostro libro, cioè alla storia di Rosa, affiderei il compito di personaggio principale a Vittorio, il giovane che si scopre omosessuale senza farne un dramma. È infatti lui l’unico che non rimane ingessato dentro la sua maschera, che si inventa giorno per giorno, che accetta il suo stato ma vorrebbe rifiutarlo, che si abbandona ad amori omo ed etero sessuali, che infine ha la piena consapevolezza dei cicli mutevoli della vita e seguendo questi si libera della maschera e dei suoi conflitti andando a esercitare la professione di medico in Africa. Ecco sembra di sentire le ultime parole di Vitaliano:  muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non piú in me, ma in ogni cosa fuori. Gli altri personaggi restano invece, pur con grande dignità, nascosti dietro le convenienze sociali che sono una protezione, coperti dalle loro maschere burbere o buone, presuntuose o possessive oppure eteree e infallibili come il monaco indiano che indica a Vittorio la strada della verità. Anche Rosa, armata non di pistola ma di sentimenti, rimane ancorata al paesello e riversa sui suoi alunni l’amore che non potrà più concedere a Vittorio. Mentre il Crocifisso della chiesa, temporaneamente ricoperto da un pezzo di coperta rosa, assume di nuovo le sue sembianze lignee ritornando nella “normalità”. Qual è allora il messaggio che vuole inviarci Ornella Marmeggi? Per come lo vedo io, questi personaggi, come ogni persona della nostra società, costruiscono le loro vite come componendo un mosaico, un bellissimo mosaico, grande di migliaia di tessere. C’è chi riesce bene in questo compito, chi meno bene e chi male. Ma infine chi potrà giudicare la bellezza?

Arturo Molinari

 

 

 

 

Demetrio Paparoni -  Il Bello, il Brutto e il Cattivo. Come la politica ha condizionato l'arte negli ultimi cento anni, Ponte alle Grazie ed., Salani, Milano, 2014, pagg. 417.

Per lo più gli articoli di questa rubrica, poiché si riferiscono solo a eventi personalmente partecipati e per evidenti problemi di pubblicazione, sono non presentazioni ma commenti di qualcosa di già avvenuto. Non è così per un libro che, pur se già pubblicato, ha sempre la capacità di rinnovarsi ad ogni nuovo lettore che lo affronti. Così è, naturalmente, per il libro che qui voglio recensire, Il Bello, il Brutto e il Cattivo di Paparoni, presentato al pubblico livornese il 22 febbraio scorso alla Libreria Erasmo di via degli Avvalorati.­­ No, non si tratta, naturalmente, di un nuovo spaghetti western alla Sergio Leone. Nel libro non si seguono i destini di Clint Eastwood, Lee Van Cleef ed Eli Wallach; il tema del libro è meno avventuroso (forse), eppure più stimolante, poiché riguarda il mondo dell' arte rivisitato storicamente e criticamente da un autore che ha dedicato all'argomento un impegno, una perseveranza ed una capacità di sintesi francamente notevole. Qual è l'argomento? Gli influssi e i condizionamenti operati dalla politica sull 'arte, il primo termine inteso in un' accezione ampia, che comprende i dittatori, i regimi totalitari, le Agenzie di Stato, i personaggi che hanno piegato la storia ai propri princìpi, ma anche i modelli culturali ed i valori esistenziali affermatisi di recente (leggi la finanza e la rivoluzione telematica). Il tutto in oltre un secolo di storia, da Napoleone alla Cina contemporanea. Una serie articolata di eventi, decisioni, documenti, opinioni che si snoda con grande forza d'attrazione, presentata con una scrittura limpida, precisa, mai ridondante e mai ermetica o fuorviante.­­­­ Certo, alcune parti del libro sono opinabili. Non è del tutto sicuro, per esempio, che una statua di Cristo completamente immersa nell'orina sia un'opera accettabile solo perché sancirebbe il diritto all'assoluta libertà espressiva dell'artista, e che la sua eventuale stroncatura sia - tout court­­ - opera immorale di censura; né è del tutto pacifico che l'Espressionismo astratto americano sia artisticamente meno valido perché appoggiato dalla C.I.A. o perché divenuto una "bandiera" americana, segno di superiorità del Nuovo sul Vecchio Mondo (concetto, peraltro, non solo falso ma sciocco); né è forse così determinante 1'accettazione delle radici ebraiche dell' arte astratta della Scuola di New York. Peraltro, numerosi sono i capitoli interessanti del libro. Importanti certe distinzioni che Paparoni rileva e sottolinea all'interno di uno stesso atteggiamento di base: ad esempio le differenze tra la politica culturale di Napoleone, certamente autoritaria ma anche propulsiva ed "illuminata", e quelle di Hitler e Stalin (non parliamo, per carità, delle vergogne nostrane), indirizzate esclusivamente all'affermazione della propria ideologia e alla gestione del potere; e le differenze, per fare un altro esempio, tra il collezionismo di una Peggy Guggenheim, coinvolta personalmente nelle scelte delle opere e degli autori e dunque percepita come membro a tutto diritto della comunità degli artisti, e quello di un François Pinault, «percepito come un imprenditore di successo che con le sue scelte legittima il valore economico ... degli artisti» (pag. 306).­­­­­­­ Da non perdere il Cap. 16, che presenta e discute del genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi nel 1915-16, con un taglio prospettico particolare, basato sulla figura e sulla pittura di Arshile Gorky ed in particolare sul suo dipinto The Artist and his Mother (1926, 1942), un omaggio doloroso alla madre e più in generale alle radici armene dell'artista (che si chiamava, in realtà, Vosdanig Adoian), da lui profondamente sentite e abbastanza lontane dai precedenti surrealisti e sui possibili collegamenti ebraici dell'Espressionismo astratto americano. Particolarmente illuminante è il Cap. 23 che discute il nuovo modello imposto all'arte negli ultimi anni, basato, come dice Paparoni  «sull'ideologia di mercato dell'era post-ideologica». La riflessione su questi nuovi orientamenti, che di fatto sono un diverso e più subdolo elemento di coercizione, e sulla scelta di molti artisti "di successo" (leggi Hirst e Cattelan) e di collezionisti (leggi, ancora, Pinault) di aderirvi apre prospettive interpretative molto interessanti - ed inquietanti - sull' evoluzione più recente dell' arte. Interessanti, infine, gli ultimi capitoli sullo stato dei rapporti attualmente intercorrenti tra arte e potere politico nella Cina attuale. La documentazione e la discussione di questo argomento svelano aspetti non sempre molto noti al pubblico occidentale, e documentano le idee ed anche il sacrificio di artisti del dissenso quali Gao Xingjan, Liu Xiaobo, Mo Yan e soprattutto l'attivista (come preferisce definirsi) Ai Weiwei più noto per le sue esposizioni alla Tate Modern di Londra e al Padiglione tedesco della Biennale di Venezia 2013. Vari spunti d'interesse, argomenti sui quali ciascun lettore può soffermarsi a seconda delle sue inclinazioni e della sua sensibilità: tutto il libro è però godibile, e si legge come un buon romanzo; ciò non impedisce che il lettore si senta obbligato a riflettere, condividere o contestare certe affermazioni e certe impostazioni. Un obbligo che vorrei in qualunque libro e di qualunque tipo, non solo di Storia dell'arte.­­­

Bruno Sullo

 

 

 

 

Enrico Marco Cipollini, Viaggiarsi dentro (una traccia per ricercarsi), Lithocommerciale editore, Novi Ligure, 2014,

Solo l'uomo ha consapevolezza di morire. Proprio da tale constatazione basilare quanto essenziale si muove l'autenticità della filosofia più vera come preparazione alla morte in vita, come avverte Platone. Come risolvere la vita? Nel banale o nell'autentico? Che cosa è l'essere? sono le domande che la filosofia si è posta da sempre. È qui che l'Autore riprende il discorso, sondando gli abissi dell' esistenza: come porci davanti all'iter dell'esistenza? Solitudine, Amore, Vita, Morte ascritti nell'arco della nostra esistenza, come nel celeberrimo frammento di Eraclito (il 38) . Davanti alle ingiustizie, al destino e alle morti più crudeli noi dobbiamo reagire in modo positivo e cercare la Vis che è dentro di noi.­­­ L'abbiamo tutti solo che è tanto manifesta che non la sappiamo vedere e dobbiamo rifarci (il libro inizia con tale frase) al più acuto psicologo, come il grande Nietzsche definì Dostoevskij: «Tutto è buono ... Tutto. L'uomo è infelice perché non sa d'esser felice. Soltanto, solo per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nel medesimo istante» (dai Demoni). Bisogna cercarci per trovare la soluzione così esageratamente e disperatamente dentro di noi. Si brilla di luce propria o siamo persone che hanno bisogno di consenso, vogliono lo specchio per vivere, sono fatue. Vivono di riflesso; tolto lo specchio non esistono, non sono. La ricerca dell'essere, del to òn da Parmenide ad Heidegger e oltre è riservato a chi traluce e non alle persone" forme-specchio" chi conosce sé, non può desiderare il male, donde ne deriva il relazionarsi interiormente e andare verso l'altro da me, da qui il bisogno di riconoscere pulsioni e desideri inconsci, sepolti nel mal-essere mai riconosciuto, mai ammesso. Riflettere sul bisogno di ciascun uomo di prendere in seria considerazione e intimamente lo studio attento e intimo delle proprie fragilità. Quanto del nostro agire infatti è dettato dalle paure inconfessate e inconfessabili e dalle insicurezze di non essere presenti a se stessi, non strutturati a dovere. Da qui l'invito al viaggiarsi dentro badando bene di capire le paure e i limiti che nel viaggio e nel percorso di vita verranno presi in considerazione all'esame finale di ciascun uomo ... c'è bisogno di non arrivare impreparati alla morte, c'è bisogno di farsi attraversare dall'inquietudine perché questa sia cassa di risonanza di un sentire vivo, una preparazione consapevole e dinamica alla vita e alla morte e quale miglior preparazione se non arrivare all'esame finale lucidi, dolorosamente consapevoli dei limiti ma anche delle conquiste fatte. Quanta luce, quale respiro nel rivendicare se stessi davanti all'atto finale della morte, lasciando agli altri la nostra memoria, il nostro percorso personale in eredità, il .nostro insegnamento ed infine il nostro affetto. Paradossalmente scoprendosi anima nuda e fragile ci si riveste del nobile mantello dell'umana fierezza d'essere, quell'essere uomo che piange e ride senza remore con lo sguardo attento all'anima pulsante. Un invito al viaggio dentro di sé per giungere all'unica vera Itaca: la percezione d'esser vita nella morte.­­

La Ballata

 

 

 

 

Azelio Ortali  -  Nascite  -  Ibiskos Ulivieri, Empoli

 Azelio Ortali, un uomo a cui parlano i cavalli (nella pineta di Ravenna), ma anche un uomo per tutte le stagioni, intendendo stagioni meteorologiche, astronomiche e stagioni del cuore, della vita. E la vita di Azelio Ortali è costellata da osservazioni poetiche, o meglio osservazioni della natura che lui traspone in poesia, con un’emozionante incalzare di versi che hanno segnato un  cammino lungo una vita e che il poeta ha raccolto sotto il titolo generale “La valigia invisibile”. Infatti parlare dell’ultimo libro “NASCITE” non può prescindere da riferimenti e richiami a tutta la sua produzione poetica, l’autore stesso ne segnala, talvolta, a margine delle sue poesie. Ciò che colpisce, almeno ha colpito me, è il rivolgersi costante alla Natura, anche quando l’autore parla di uomini o di bestie, di boschi e di fiumi, della conoscenza e dell’esperienza, si intuisce che i suoi soggetti altro non sono che manifestazioni di una grande madre, colei che organizza e armonizza la vita su questo pianeta (e forse su altri che non sappiamo). Per questo l’Ortali non si indirizza ad una particolare persona, o ad uno specifico animaletto, persino quando parla di sé raramente si pone come centralità, ma spesso a margine di qualche fenomeno naturale. In fondo, in “Saper leggere” ci dice “ Di noi, che siamo, posso conoscere tutti, ma non so di nessuno”. Però ci racconta di tutti e di tutto da un punto di vista particolare, come da volo d’uccello o di soffio di vento, così ci descrive i suoi luoghi, le sue sensazioni e le sue osservazioni. A questo proposito ho trovato particolarissimo il volume “Amico Nemico” dedicato al pensiero: “Il nostro pensiero, un amico che tiene mano al nemico, il nostro pensiero”. Azelio Ortali va dal parziale al totale, dal particolare al generale, dal microcosmo al macrocosmo, e viceversa, con notevole abilità creativa, interpretativa e poetica. Nel suo ultimo volume, “NASCITE” , parla un poco più di sé, della sua passione per la fotografia, per l’ornitologia, per la musica; qua un ricordo dell’università, là una considerazione storica o  filosofica sul pensiero. Nascita come origine, come presenza di un nuovo che prima non c’era. Emozionante “Il passo del Po Reno” che ci riporta in descrizioni antiche del traghetto che univa le sponde “là dove il Po diventa Reno”, di un pontone che trasporta i passeggeri “con stupore volante d’airone” ma che finisce per marcire nella palude, reso inutile da una nuova strada, da un ponte, da qualcosa di nuovo che prima non c’era.  Con questo non sembri che Ortali sia critico nei confronti del nuovo, semplicemente lo esplora in tutte le sue accezioni, positive, negative e nostalgiche, con la curiosità di un esploratore dello spazio e del tempo, di un puntuale e poetico cronista del minimale che lui ingigantisce nel disegno imperscrutabile della natura, dominatrice del mondo fisico: “un disumano silenzio è padrone del vento”,  ed accompagnatrice del nostro mondo spirituale: “ogni volta che penso, io nasco”.

 Arturo Molinari

 

 

 

 

Anna Piccardi  -  Contrappunto 44  - ArtEventBook, 2013

Tenere gli appunti per un libro nel cassetto per più di 50 anni, a che cosa può essere paragonato? Se lo si vede dal punto di vista di un diario personale, si comprende il segreto del proprio intimo per rivelare a se stessi e non scordarlo mai un periodo significativo, in cui una intelligente e sensibile ragazza è stata chiamata a crescere e maturare dagli avvenimenti di una guerra. Il decidere di pubblicare queste memorie si può inquadrare forse come il dovere di trasmettere una esperienza perché non sia persa. Una esperienza che dice quanto sia stata sofferta l'esperienza della scrittrice essendo il testo una completa intima biografia. La cronaca della permanenza nella villa della nonna a Cavalle, di uno staff medico di chirurghi tedeschi, della trasformazione della casa in un ospedale da campo di fortuna, del controllo rigido degli ufficiali dell' esercito tedesco che controllavano ogni azione e l'intendevano come possibilità di sabotaggio la non completa collaborazione, danno l'idea del sottofondo in cui si svolgeva la vita in quella casa, in cui dal crescente flusso dei feriti si comprendeva l'incalzare degli eventi bellici. La famiglia di Anna fu messa a dura prova e tutte le risorse vennero impiegate: dalla cultura pratica del padre, docente  universitario ed ex ufficiale della prima guerra mondiale, la dedizione della sorella infermiera volontaria, la sagacia della madre nell'amministrare non solo la casa ma anche i rapporti con i vicini di paese, i contadini, i compagni alla macchia cui far arrivare gli aiuti ed il sostentamento. Mille contraddizioni, mille linguaggi, mille comportamenti. E riuscire a mantenere l'equilibrio per sopravvivere ed allo stesso tempo mantenere il proprio ideale di libertà, di mondo in cui far valere i valori umani e culturali in cui si crede e che nemmeno i cingoli delle dittature avevano fatto crollare. La descrizione degli stati d'animo richiede tanti riferimenti letterari, tanti paragoni presi dai classici, tante vicende di sentimenti contrastati che Anna mette assieme come un collage di ritagli di libri, giornali, spezzoni di tradizione. Una cultura che riesce a suggerire delle vie di uscita anche quando ci si trova di fronte ad una realtà drammatica come un ultimatum di fucilazione a fronte di un guasto ad un camion ritenuta come una azione di sabotaggio. Una situazione angosciosa di vita che richiede di impiegare al meglio tutte le risorse fisiche e mentali e di buttarle sul tavolo come l'ultima scommessa da fare nella propria vita. E quando Anna si deve recare a Torino per cercare di far liberare la madre arrestata, ha una forza leonina dentro di sé, andando a cercare quell' avvocato con cui aveva visto parlare il padre a Populonia, durante una loro gita in barca a Baratti. Va a Torino in un contesto di Italia con i collegamenti frammentati ed il rischio di bombardamenti aerei, e torna su una locomotiva da passeggero clandestino, convincendo il giovane macchinista a portarla su e scendendo in corsa nel luogo più vicino per rientrare a Cavalle. Un'opportunità che si può cogliere solo in quell'apocalisse e che Anna coglie, intuendo che anche un giovane macchinista aveva capito che le cose stavano cambiando accogliendo la sua richiesta disperata per­­ rientrare a casa. Se queste sono le vicende che hanno formato quella che ora è una mamma adorata ed una nonna serena, apprezzata da un prossimo che si bea della sua gentilezza e del modo di accoglienza, si comprende che nonostante l'eroismo suo e della sua famiglia, il suo percorso non è stato tracciato dalle sue vicende. I suoi meriti non sono stati vantati e pubblicizzati. Il suo dovere nella società e nella famiglia sono stati presi da Anna come i doveri che le imponevano quei giorni tremendi di Cavalle. Ci si può rammaricare che questa esperienza non sia stata narrata prima, perché ormai tanti giovani non possono comprendere a pieno, contestualizzare queste vicende. Io la vedrei però come una vicenda storica che può farci riportare al presente, in cui probabilmente tante sono le donne che vivono con sentimenti contrastanti e riescono a mandare avanti i propri cari, a mantenere speranze, le proprie aspettative di vita mettendo però se stesse all'ultimo posto delle priorità. Esistono anche al giorno d'oggi violenze personali, fisiche e morali, che ci si trova a fronteggiare. Le donne al centro di sistemi come la famiglia si trovano al centro di queste tensioni che provengono da più parti, e riescono a compiere sforzi estremi. Sempre più vi sono drammi familiari che compromettono la vita o la serenità di famiglie, con conseguenze stabili sui figli e sul loro futuro. Prendiamo insegnamento da questa esperienza di vita per apprezzare lo scritto di Anna e di conseguenza il suo discreto esempio. Ed apprezziamo anche il suo stile, prendendo tutta la sua cultura umanistica a piene mani, leggendo e rileggendo le righe e tra le righe, per capire come in mezzo a quel complesso groviglio di sentimenti, Anna ed i suoi sono riusciti a sciogliere le situazioni più complesse. Apprezziamo anche la modestia di Anna, che si ritiene fortunata rispetto ai milioni di persone che sono state avviate ai campi di concentramento, tra le cui fila ci saranno state tante persone di valore, le cui testimonianze Anna cerca di tenere più vive possibili. È da qui che trae un altro dovere, e trasmettendolo a noi lettori con lo scritto, ce lo trasmette come compito per il futuro.

 Antonio Cambi

 

 

 

 

 

 

 

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