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Enrico
Marco Cipollini, Analisi dei "Rapports" cabanisiani, Antropologia
Filosofica, Lithocommerciale, Novi Ligure, 2015.
In
un'ottica dedita alla fugacità alimentata da un desiderio vorace di consumismo,
l'umano cammino appare inghiottito in un sistema sociale e vitale alienante e
apatico, avvinghiato al declino in corsa verso uno sviluppo disordinato senza
più la consapevolezza dell'importanza della studio del pensiero epistemologico
nella sua storicità. Questo rivendica il bellissimo saggio di antropologia
filosofica di Enrico Marco Cipollini sui Rapports du physique e du moral de
l'homme di Pierre Jean Georges Cabanis medico e fisiologo francese del XVIII
secolo, padre della neurofisiologia moderna. Lo studio di questa pietra miliare
nella storia della filosofia e di sconvolgente attualità per l' attenta analisi
dei vari aspetti dei fenomeni psico-fisiologici unitari dell'individuo,
sottolineando l'importanza dell'inappercepito, dell'inconscio e dell'istinto
nella nascita evolutiva del pensiero e dell'agire umano. Cabanis è definito il padre del "nuovo
trattato delle sensazioni", dove la vitalità interiore dell'uomo viene
scandagliata con metodo scientifico e considerato un'organizzazione perfetta di
corpo e mente autonomo e concreto, mai disgiunto dall' ambiente e
dall'educazione. A lui si devono brillanti intuizioni sull'affascinante mondo
della mente umana e del suo delicato equilibrio di desideri, conflitti
interiori, disordini di giudizio e di volontà, sensazioni, impressioni,
appetiti istintuali, disturbi sensitivi e tanto altro. Un delicate trattato
sulle patologie, sulle forme di demenza o turbe maniacali , disturbi della
sfera sessuale, delirio e follia che anticipa e prepara il terreno alla nuova
disciplina medica somatico-naturalista del XIX secolo per una visione
antropologica globale, omnicomprensiva fino a toccare temi che diverranno la
base della psicologia moderna. A Cabanis si deve un nuovo modello
d'interpretazione dell'uomo nella sua unitarietà corpo e mente e della nascita
della vita tramite l'osservazione scientifica di dati e fenomeni naturali. È l'inizio
di una nuova era scientifica: la biochimica legata alla neurofisiologia.
Attualissimo il saggio termina con una considerazione dell' autore che
recupera il pensiero di Locke e le forme di Kant: l'uomo va rispettato nel suo
diritto ad essere autonomo e messo nella condizione di esprimere le sue
potenzialità, a disporre delle proprie facoltà (il lavoro umano non solo come
sostentamento), al diritto all' integrità fisica e mentale perche la vita sia
interpretata come merita nella sua sacralità e nella sua interezza.
Rosaria Chiarello
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Dove vanno a Dormire le nuvole - Di Giuliana Matthieu
Ibiskos Ulivieri Editrice, Empoli, 2015
Le donne di Giuliana Matthieu vivono per brevi
istanti come le nuvole, il tempo della lettura di una pagina, ma con una
intensità insospettata. L’autrice le dipinge di pennellate nervose, con affabulatorio
divisionismo, così che il lettore deve destreggiarsi dentro un caleidoscopio di
colori, frammenti di luce e fori nella tela dove il buio si affaccia
inquietante. Fa da contraltare ad una narrazione scarna ed essenziale (altro
non potrebbe essere per racchiudere ampi squarci di vita in poche righe) una
pioggia di metafore, una ricchezza lessicale e infine una partecipazione talmente
amorevole e compassionevole delle umane vicende che solo dopo poche righe la
figura è già compiutamente delineata, con le sue tristezze, crucci, gioie, con
gli avvenimenti e i ricordi più personali, con le intuizioni e gli istinti
appena abbozzati, con i sogni e le illusioni. Poi un fatto, un particolare
momento delle loro vite, un dramma o una delusione, le inchioda impietosamente
ad una croce di rose e di spine mentre gli altri personaggi del racconto,
abilmente manovrati, sono il coro che accompagna il solista per rendere
completa la partecipazione emotiva del lettore. Non c’è nulla di idealizzato nelle
donne di Giuliana Matthieu, non c’è il mito né l’angelizzazione, piuttosto
l’umanità affannata di John Steinbeck, la strenua lotta per la sopravvivenza
non dei corpi ma delle speranze. Traspare alla lettura l’osservazione attenta,
quasi stupita, della forza e della debolezza di una donna, con le
caratteristiche precipue del suo genere. Né si intravede un’impronta di
femminismo, solo di grande comprensione e sempre di pietà. Questo fa dei
personaggi donne vive, persone che hanno vissuto nella malvagità e nella
misericordia del mondo, intendendo il mondo che ognuno si porta dentro i propri
pensieri ma anche quello che, all’esterno, vive di vizi e virtù e infine quel
mondo che esiste nella spiritualità di un dio invisibile e presente, forza
cosmica o naturale, forgia di delizie e affanni futuri che noi qui vediamo
anticipati nel presente, in un presente senza tempo, fuori dal concetto di
tempo che, come convenzione umana, altro non è che un limite alle nostre
aspirazioni.
Arturo Molinari
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Arthur Alexanian - Il bambino e i venti d'Armenia
Ibiskos Ulivieri Editrice Empoli, 2015
Cento anni fa fu perpetrata un’azione punitiva nei confronti
di un intero popolo. Oltre un milione di armeni furono spostati forzosamente
dalla propria terra. Questo movimento fu definito dai turchi una dislocazione
tattica, lo si potrebbe chiamare deportazione, olocausto, ma è generalmente
noto come il genocidio armeno, che peraltro si colloca entro un’azione più
ampia, iniziata già qualche anno prima, a seguito del disgregamento dell’impero
ottomano, che portò a sistematici attacchi contro il popolo armeno in Anatolia
e in tutta la Turchia. Ma non sono questi i fatti drammatici narrati nel
romanzo, infatti l’autore, Arthur Alexanian, colloca i ricordi della madre ad
un altro tempo, il 1922, e ad un altro massacro. Infatti persa la guerra (prima
guerra mondiale) l’impero ottomano si trovò privato di tutti i possedimenti,
almeno quelli che gli erano rimasti al di fuori dei confini turchi, non solo,
si trovò anche occupato da francesi, italiani e greci, questi ultimi nella zona
di Smirne che era di fatto già abitata da un’antica colonia greca.
L’occupazione greca dell’Anatolia occidentale fu cruenta e lo fu altrettanto la
guerra greco-turca che ne seguì e che culminò con l’incendio di Smirne nel
settembre 1922. La controffensiva turca assunse le connotazioni di una pulizia
etnica e si rivolse sia contro i greci che contro gli armeni che, ricordiamo
erano cristiani, in parte ortodossi e in parte cattolici. Tornando al libro,
non c’è astio nel racconto dei ricordi più angoscianti, solo una malinconica
tristezza che si alterna nelle varie voci narranti, quella dell’ufficiale turco
che salva la madre, quella delle due donne in fuga da Bandirma, la madre e la
nonna del bambino che i venti d’Armenia porteranno lontano dalla sua terra,
venti che spirano al contrario perché il mondo sta andando al contrario e il
porto non è più il rifugio sicuro. E poi la storia, sempre nell’alternanza di
voci, di una diaspora familiare che porta a Venezia, dove la comunità armena
era viva e la città accogliente. L’ottima postfazione di Emanuelita Vecchio
delinea con puntualità e attenzione lo spirito più recondito del romanzo: una
necessità. Necessità di scrivere per riappropriarsi dei ricordi e con essi
della propria armenità e quindi ritrovare il proprio io in fuga, fermarlo nelle
immagini che la memoria ha riportato vive, fermarlo nei viaggi che sembrano un
destino inevitabile, fino all’accettazione del proprio stato che rappresenta il
primo passo verso una nuova serenità.
Arturo Molinari
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