Recensioni novembre 2011 |
Alessandra Mancini Edda Fagni. L’innovazione pedagogica Edizioni del Boccale, 2010 |
Alessandra Mancini, pedagogista ed insegnante di scuola primaria, con il suo libro ci conduce dentro la vita professionale di una donna, Edda Fagni, che ha contribuito in modo indelebile alla crescita della democrazia nella nostra città e nel nostro paese. Credo che il valore di un libro si misuri dagli intenti e dalla passione sottostante che lo hanno generato. Questo è il caso dell’autrice, che con umiltà e sete di sapere affronta il percorso di una donna che ha dedicato tutta la sua vita al miglioramento della società civile. E lo ha fatto investendo le parti migliori di sé di Donna e di Pedagogista, Insegnante, Consigliere comunale e regionale, Assessore all’Istruzione, ed in ultimo, Senatrice della Repubblica Italiana. Edda Fagni muove i suoi studi e le sperimentazioni nelle Istituzioni educative e nella politica in generale dietro la scorta di un’intelligenza raffinata, autocritica ed aperta al dialogo con chiunque. Perché il suo è un esempio di come dovrebbe essere “il politico”, persona carica di umanità, dotata di cultura ed aperta al confronto. Alessandra Mancini, percorrendo la strada della Fagni, mette in luce le scelte di questa donna, e pure i suoi pensieri, parole e azioni; tutte volte alla promozione del senso di responsabilità da parte dei cittadini, a seguito della giusta attuazione delle leggi in materia di handicap, scuola pubblica, sport e lavoro. Edda Fagni è una donna di studio che sposa l’attivismo pedagogico di matrice americana, e fa di questo la base propulsiva di tutte le sperimentazioni che via via pone in essere. Molte sono state le sue anticipazioni, intuizioni ed azioni che ancora oggi devono essere pienamente realizzate. Molto di sé è stato messo a disposizione degli altri, soprattutto l’insegnamento “che si può imparare soltanto attraverso la costruzione di relazioni basate sulla fiducia ed il rispetto reciproco”. Molto del suo cuore è entrato nelle coscienze delle persone, e l’auspicio nostro è che, grazie allo sforzo di Alessandra Mancini, le nuove generazioni ne traggano esempio per lo sviluppo di una società migliore. Gianluca Giunchiglia |
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Con il suo nuovo libro “Badante sissignora”, Excogita Editore 2010, Laura Rainieri approfondisce uno dei fenomeni ricorrenti del nostro tempo, quello delle così dette “badanti”, ovvero donne (nella maggioranza dei casi), disposte a prendersi cura degli anziani non autosufficienti, sostituendo i familiari che non possono occuparsene. L’autrice entra direttamente nel vivo dell’argomento con il primo dei tredici racconti - ritratti di badanti, appunto, che compongono il libro, presentando come prima immagine quella di Velia. Sarà poi la volta di Anita, di Nicoletta, di Dana, e così via, ovvero delle varie donne, che si sono alternate in casa di Marta (alias Laura stessa) per accudire la nonna malata di Alzheimer. Si tratta, com’è nella prassi, di donne straniere, per la maggioranza provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est, e arrivate in Italia per necessità di guadagno, quindi decise ad adattarsi anche ai lavori più umili e scomodi pur di racimolare un po’ di denaro. Se in politica si parla sovente di voler far luce sui loro problemi e regolamentare le situazioni che ne derivano, non sempre alle parole seguono i fatti. Laura Rainieri dà dunque un valido contributo al dibattito sulla questione e, puntando l’obiettivo su queste lavoratrici, mette in luce sia le loro problematiche sia quelle della famiglia dell’anziano per cui operano. E, con ciò, mira a trovare una maggiore apertura dei canali di comunicazione tra le due parti in causa. Di queste donne, la Scrittrice evidenzia sia i tratti fisici che quelli caratteriali, cioè la docilità o la riottosità come pure la scarsa sensibilità per questo tipo di lavoro che, al contrario, ne richiede molta. Marta-Laura che ha vissuto a contatto con molte di loro (non dura mai a lungo la prestazione delle loro opera che richiede molta dedizione), sottolinea i vari tipi di conflitti che talora insorgono, mostrando al riguardo comprensione e un forte desiderio di trovare un punto d’incontro reciproco sul piano umano. E non tanto perché ad agire così la spinga la necessità di un aiuto, quanto invece perché lei stessa, cioè la “signora”, non è arida, anzi, al contrario, è donna piena di umanità, è colei che, al di là di tutto, vede nella badante la portatrice di valori altri, riferiti alla terra di provenienza e alle esperienze di vita, non sempre edificanti, fin qui avute. Come su uno schermo, sfila davanti ai nostri occhi una sequenza di donne di cui l’Autrice non tace i vizi e le virtù, fino a dichiarare come in alcune di queste insorga ad un tratto un senso di intolleranza per questo duro lavoro. Leggere questi racconti- ritratti, è come guardare su uno schermo ciò che rivelano i riflettori puntati sulle vite di queste donne, aprendo persino una breccia sulla storia dei loro Paesi, per comprendere in che misura il retroterra culturale condizioni i loro atteggiamenti. Apprezzo molto questo approfondimento come pure lo stile della Rainieri che procede dall’uno all’altro ritratto facendo uso di un linguaggio particolarmente adeguato alla struttura dei racconti: eliminata dal discorso diretto la punteggiatura per consentire la fluidità della narrazione e far rimbalzare con maggiore forza ogni figura come fosse proiettata su uno schermo. Più che leggere, infatti, sembra di assistere alla proiezione di un film a episodi. Del resto la Rainieri, come ogni brava regista, intende mostrare senza giudicare, lasciando allo spettatore la facoltà di pronunciare il proprio giudizio. Per quanto detto, vedrei bene questo libro diventare un film a episodi dove il mostrare più del dire sa fare meglio luce contemporaneamente sui tanti aspetti della realtà. Il pregio del libro sta anche nel far emergere con chiarezza come i rapporti con gli anziani possano variare proprio in base alle diverse caratteristiche caratteriali della badante a cui sono affidati, e venirsi quindi a stabilire rapporti calmi ed efficaci o abrasivi e deleteri. L’Autrice non pretende, a questo punto, di dare soluzioni utopistiche, tuttavia i suoi racconti, essendo calchi del reale, sollecitano a trovare l’avvio per una qualche soluzione che si adatti a casi simili. Bene dunque ha fatto la Scrittrice a porre sotto lo sguardo del lettore le molteplici situazioni nelle quali è venuta a trovarsi e a far rilevare tra le righe quale debba essere l’etica di chi si offre per un lavoro così delicato e non propriamente gratificante e di chi, per contro, ha necessità di accogliere questa offerta. Infatti, se chi accoglie deve mostrare riconoscenza e apertura mentale per usi e costumi diversi dai propri, chi si offre per ottenere un compenso a questo lavoro, deve avere la consapevolezza che l’impegno assunto non è facile, in quanto per svolgerlo occorrono quella dedizione e quell’onestà senza le quali è impossibile svolgere quest’opera assistenziale. Colpisce inoltre come, dopo il netto profilarsi di ogni immagine femminile, si giunga al momento conclusivo del racconto dove ciascuna di queste donne, resa così presente e vera nel bene o nel male, quasi improvvisamente scompaia alla vista. Nella loro diversità, infatti, c’è qualcosa che le accomuna, ed è il fil rouge sotteso dalla secca e asciutta frase con cui tutti i racconti si concludono: Dissolta come ombra o nebbia. Come dire che tutte queste lavoratrici pur così differenti tra loro, hanno comunque un denominatore comune: quello di svanire nel nulla, come al mondo svanisce tutto ciò che non può o non vuole mettere radici. E tuttavia, là dove sono passate, ognuna di esse, nel bene o nel male, ha lasciato qualcosa di sé, qualcosa che Marta - Laura ha colto e da cui ha tratto materia per questo libro, quasi un’inchiesta. O meglio, quasi un film, per le vivide immagini proiettate su uno schermo immaginario. Uno schermo che potrebbe diventare reale. Franca Maria Ferraris |
Laura Rainieri Badante sissignora Excogita Editore 2010 |
Krishnamurti Liberarsi dai condizionamenti Oscar Mondatori - Milano 2008 |
Il pensatore indiano Jiddu Krishnamurti (1895-1986) è considerato “uno dei figli minori di quell’incontro tra Oriente e Occidente”. Il suo nome fu scelto dalla madre in onore del dio Krishna al quale era molto devota. Il padre, un bramino ortodosso, diviene membro della Società teosofica volta a favorire uno studio comparato tra le religioni per creare una sorta di fratellanza universale. Krishnamurti vi aderisce e viene educato alla cultura occidentale. Nel 1911 il giovane è a capo dell’Ordine della Stella, quindi prosegue la sua formazione che lo conduce in Inghilterra, in California ed anche in Italia. Nel libro Liberarsi dai condizionamenti sono presenti i contenuti delle sue riflessioni che spaziano dai temi più teorici a quelli più pratici. Ne L’inconoscibile, il primo pensiero che apre la sua raccolta, definisce il pensiero “l’espressione del conosciuto, dell’esperienza” e ci ricorda che ”la mente non è mai in riposo, è sempre tesa allo sforzo, sempre intenta a conseguire, a ottenere”. Questo processo si chiama meditazione, in La paura di perdere. Tale ragionamento prosegue in La paura in cui l’autore precisa che il pensiero davanti all’inconoscibile ha appunto come unica risposta la paura. L’attenzione alla mente è abbastanza ricorrente nello scritto di Krishnamurti, infatti in L’ascolto scrive: “la mente è perennemente occupata in qualcosa; non è mai immobile e silenziosa per poter ascoltare il frastuono delle proprie lotte e sofferenze”. Interessante è la distinzione elaborata tra l’esperienza e la sperimentazione. La prima “è già nella rete del tempo, è già nel passato, è divenuta un ricordo che viene in vita soltanto come risposta al presente”, mentre la seconda comincia quando la prima è cessata, in Esperienze e sperimentazione. Seguono dei pensieri dedicati alla conoscenza, alla comprensione per affrontare poi tematiche più terrene. In liberi dal sapere il pensatore indiano esordisce con le seguenti parole: “il sapere è un lampo di luce fra due tenebre”, mentre “l’ignoranza è la mancanza di coscienza di sé”. La conoscenza della realtà è importante anche davanti alla fede; infatti si può passare “da una fede ad un’altra, da un dogma ad un altro”, ma “non ci si può convertire alla comprensione della realtà”, in La fede come gabbia. L’autore poi si sofferma sul rapporto pensiero-amore e riconosce nel primo la presenza di “complicazioni emozionali”, che non ci sono nell’amore, infatti “il pensiero è il più grande ostacolo all’amore”, - e continua – “il pensiero ovviamente ha il suo posto, ma non è in modo alcuno connesso all’amore”, in Pensiero e amore. In La natura dell’amore questa dicotomia è spiegata con maggiore enfasi: “l’amore è uno stato dell’essere in cui la sensazione come pensiero è del tutto assente”. Il nostro esistere si manifesta nella lotta con un problema, anzi non possiamo immaginare la vita senza un problema, quindi il “desiderio deve essere compreso, e non allontanato e sottomesso”. Questi contenuti sono esposti in due pensieri, rispettivamente in Chiacchiere e preoccupazioni e Comprendere le vie del desiderio, ma contengono un filo conduttore che “dirige” il lettore a domandarsi: cosa è la sofferenza secondo Krishnamurti? Le pagine che seguono in effetti sono volte a fornire delle possibili soluzioni al quesito emerso. In La via senza via l’autore scrive: “dovete accingervi a navigare un mare non segnato sulle carte, e questo mare ignoto siete voi stessi” poiché “la conoscenza di sé è il principio della saggezza”. Sono presenti anche riferimenti al potere, al rapporto Oriente-Occidente, uomo e società, idea e azione. Ne La brama del potere il pensatore con tono sobrio afferma: “il potere è una delle più complete espressioni dell’io” e “che si tratti del potere della conoscenza, del potere su qualcuno, del potere mondiale o del potere dell’astinenza, poiché la sensazione del potere, del dominio è straordinariamente gratificante”. La questione antropologica, uno dei temi della contemporaneità, emerge in due pensieri: Oriente e Occidente e Una civiltà comune. In questi passi Krishnamurti sottolinea che la distanza geografica non conta poiché gli uomini di tutto il mondo si trovano ad affrontare le medesime situazioni e pensieri, e precisa: “l’intera coscienza umana riguarda Dio, la morte, un’esistenza giusta e felice, i bambini e la loro educazione, la guerra e la pace” – e ribadisce – tenendo ben presenti le differenze, “dobbiamo cercare di renderci conto delle somiglianze”. Infatti “sia in Oriente sia in Occidente gli uomini vogliono la pace e l’abbondanza, e sperano di trovare qualcosa di più della felicità materiale”. “Vivere è la più grande delle rivoluzioni” quindi, tenendo a mente questo monito contenuto in Non-azione, si può procedere – secondo l’autore – nell’esame del rapporto uomo-società. Quest’ultima “è l’espressione esteriore dell’uomo” e “l’uomo intelligente porterà in essere una buona società” in Il cittadino e l’uomo interiore, mentre, in Idea e azione, si riconosce la vitalità insita nell’essere umano: “la maggior parte di noi è volta all’azione” e ci rivolgiamo alla fede per trovare “quella particolare forza che ci viene dall’esclusione”. Emanuela Ferrari |
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Rivotrill. Un nuovo romanzo di Umberto Lucarelli Dopo Il quaderno di Manuel, Fossimo fatti d’aria, Pavimento a mattonelle, Ser Akel va alla guerra, Non vendere i tuoi sogni, mai, San Giorgio e il Drago, Umberto Lucarelli ci offre un nuovo romanzo intitolato “Rivotrill”, dove un incidente piuttosto ricorrente nella società odierna invece di finire in un dramma si risolve in una situazione amicale. Un testo che fino dall’inizio invita alla lettura altro non fosse per l’inventiva dell’autore che argutamente servendosi di due soli personaggi apparentemente a loro modo bizzarri e inconsueti, alla fine riesce a farne specchio per una non impossibile reciproca comprensione amicale - universale. Ma se i dipinti non possono essere raccontati, altrettanto accade per i romanzi:occorre leggerli. Brunello Mannini Umberto Lucarelli ha pubblicato per Tranchida Editore Non vendere i tuoi sogni, mai (1987) e Ser Akel va alla guerra (1991), riproposti nel 2009 dalle Edizioni Bietti in versione cofanetto. Per la BFS edizioni Fossimo fatti d’aria (1995), Nulla (1999), Pavimento a mattonelle (2001). Con Ibis San Giorgio e il drago (2008) Brunello Mannini |
Umberto Lucarelli Rivotrill Edizioni Bietti 2011 |
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Francesco Alberto Giunta Odisseus Il secolo breve Kairòs Edizioni, Napoli |
ODISSEUS è uno straordinario, intenso e variato racconto di viaggi e di incontri avventurosi, dall’andamento mitico e quasi epico, nel quale l’autore, forte della favolosa miticità della natìa Catania (Paternò) e della patria siciliana in genere, imprime e in un certo senso nasconde, sotto l’aspetto di una funzione narrativa personale, memorialistica e autobiografica, diffusa nelle diverse fasi della narrazione (come è anche nell’Odissea), una struttura unitaria, allusiva e regolata dall’aspetto fantasioso di novello Ulisse, assunto da lui come protagonista di tutte le sezioni del racconto. Ciò è indicato chiaramente in una sua premessa, dove si allude alla identificazione con Odisseo, il quale, da un lato, omericamente, nella tempesta metaforica come di “flutti”o “stordimento” di studi e di pensieri, e pur ammaliato dalle moderne Calipso e Circe, non vede l’ora di “ritornare a Itaca, la sua Sicilia, un porto aperto ma sicuro”, e dall’altro, invece, dantescamente, “continua a errare nel mondo del sapere e della conoscenza, sempre alla ricerca di vie e visi nuovi”. L’abilità inventiva dello scrittore consiste nell’alternare e armonizzare tra loro le due tendenze, alternandole di più o di meno nelle varie narrazioni (il “morso della patria lontana” e del ritorno a casa con l’esigenza di viaggi “verso altre terre” da “viandante solitario”), fino alla composizione di un viaggio unico interiore ed esistenziale, unito al ricordo sempre presente della Patria catanese e della propria sicilianità, spesso riaffermata. Abilità che poi si evidenzia soprattutto nel far coincidere, indirettamente e senza parere, eventi e avventure e personaggi realistici e biografici con le storie avventurose del suo modello mitico e letterario di Ulisse e dell’Odissea. Il serissimo giuoco delle identificazioni e delle coincidenze, che qua e là traspare con decisione, è sostenuto e favorito, oltre che dal forte amor di patria del nostro autore e dalla sua indiscutibile voglia di “conoscenza”, dal fatto che l’opera omerica può essere considerata anch’essa un romanzo avventuroso di struttura autobiografica, nel senso che le avventure del viaggio di Ulisse sono raccontate in gran parte dallo stesso protagonista. Il quale non è un caso che si chiami proprio Odisseus, un nome che ha già in sé la radice greca di odòs, ossia il “viaggio”, la “navigazione”, la “via”, e quindi è un nome sinonimico di viaggiatore, viandante, che ha il viaggio come destino e come attrazione dell’ignoto, ed è simbolo del legame patrio e familiare e del ricordo dell’infanzia e della propria nascita e origine, a cui in qualche modo sempre si ritorna nella vita di ognuno. È questa l’importanza di quel “paesaggio familiare”, intimo, interiore (citato qui giustamente nel pregevole commento del prof. Creati), aldilà delle esperienze dei viaggi come conoscenza degli uomini e delle strade del mondo. Si può dire quindi che si tratta prevalentemente e comunque, nell’un senso e nell’altro, di un progetto “omerico”, quello che guida l’autore protagonista impegnato fin dall’inizio nella “veste di un nuovo ulisside”, introdotto in questa identificazione dalle circostanze storiche, mitiche ed esistenziali. Non è un caso, tra l’altro, che il racconto avventuroso e fantastico contenga sempre elementi della storia e delle vicende reali anche politiche italiane ed europee, e avvenga in sostanza nel tempo in gran parte di un “dopoguerra”, come quello di Ulisse! e non vi manchi la presenza degli amici e compagni di viaggio, che nel viaggio mitico periscono, insieme al sentimento angoscioso della precarietà alle volte tragica dell’amicizia, e tra la varietà delle apparizioni e delle conoscenze e dei personaggi incontrati non escluda la seduzione delle donne, dall’aspetto addirittura strano o magico o perfido, da identificare con le mitiche e omeriche donne, maghe o sirene, dell’Odissea. All’interno di questo interiore e implicito, ma spesso dichiarato, avvolgimento mitico e culturale, il racconto, in tutte le sue parti e varietà, mostra caratteristiche sue proprie e decisamente originali e rilevanti e, nella sua fondamentale passionalità, colpisce con l’acribia del particolare descrittivo, che non trascura nemmeno i minimi segni delle persone o della scenografia dei diversi paesi, gli oggetti, i nomi, le espressioni, nella vastità curiosa degli incontri. Ed è questa una esigenza riferibile senza dubbio al voler rendere tutto presente, credibile e visivo e letterariamente realistico, e comunque sempre contenuto al di dentro di un impegno o progetto interno ai “pensieri” e vivo, come l’indimenticabile “morso della Patria lontana”, alla quale ritornare, quasi a una “mitica Itaca”, pur attraverso enormi difficoltà. Allora le riflessioni appaiono spesso e sono profonde e continue, perché “lasciano un segno nello spirito” del sensibile e impegnatissimo viaggiatore, e dànno al racconto un altro aspetto caratteristico, quello cioè dell’approfondimento quasi mistico, religioso, dei fatti prodigiosi e incredibili e delle inaccettabili sventure, come presenza di ragioni sovrannaturali, che sostituiscono i misteriosi movimenti delle mitiche divinità antiche, che provvedevano a decidere in un modo o nell’altro la stessa narrazione. Da Catania, dunque, si parte e a Catania in qualche modo si arriva e si ritorna sempre, e se la partenza rappresenta una specie di impresa guerresca, che alla decisione di acculturarsi e di conoscere il mondo e la natura universale degli uomini unisce la tenacia negli spostamenti e l’intelligenza negli studi e negli incontri con persone importanti e culturalmente decisive (tenacia e astuzia proprie del guerriero Ulisse, tradotte da Dante in “virtude e conoscenza”), il ritorno costituisce – sia per il personaggio antico, come per il moderno eroe – con il costante ricordo e la decisione che supera ogni ostacolo e respinge ogni tentazione, la forza interiore e determinante dell’origine infantile e familiare e la necessità di chiudere un ciclo, che affermi la legge della giustizia e la fedeltà dell’amore coniugale e paterno. Il leitmotiv della “patria forte e sicura”, da difendere prima con la partecipazione armata a Troia e poi con la vendetta sugli usurpatori della propria casa a Itaca, percorre sotterraneamente e con legami allusivi e somiglianze di pensiero forse inconsce, tutte le avventure, l’andata e il ritorno, e come una struttura autobiografica, dà la sua impronta mitica all’intera narrazione dei viaggi, di forte connotazione culturale e curiosità giornalistica, nel complesso “reportage” del nostro scrittore. Questa notevole esemplarità letteraria aggiunge un’ulteriore qualità alla stessa intensità della scrittura decisamente non comune del nostro autore in quest’opera – che così ha veramente l’apparenza di una discesa negli “abissi” della sua anima, strettamente legata alla patria siciliana, alla sua infanzia e alla sua adolescenza – e coinvolge la linea della sua già eccezionale avventura esistenziale e culturale di “giramondo impenitente”, o di “assetato cultore dei problemi che ruotano o che nascono dalla conoscenza”, in un vasto contesto di vicende storiche e patriottiche, con “assoluta libertà di pensiero”, e con la coscienza di fare non “escursioni occasionali” nel tempo e nello spazio, ma di “mescolarsi a un’umanità protesa verso nuove speranze”. Il cammino allora del racconto, essendo un cammino intimo e profondamente memoriale, e nello stesso momento una proiezione nel futuro di una umanità “distratta dai nuovi idoli tecno-economico- sociali nell’era dell’avanzato progresso informatico-mediatico”, accetta di ripercorrere tutte le varie strade percorse e raccontate e descritte ora col gusto proprio della conoscenza e del ritrovamento insieme, e si sposta da Lovanio a Charleroi, dall’Aja a Parigi, fino a Manila o alle “rapide” di Pagsanjan, e oltre, portando con sé la mai perduta sicilianità dello scrittore; della quale non c’è da meravigliarsi se riappaiono le belle e singolare forme linguistiche siculo-italiane, e altre apparizioni dettate da un continuo “ritorno” del pensiero . E accanto alle donne, o alla “donna del risveglio”(!), ecco gli incontri, le letture, i sodalizi poetici, le interviste, i convegni, e altro ancora, che compongono il panorama anche tragico degli spostamenti e dei ricordi della recente guerra, anch’essi omerici come quelli di Ulisse, e le stragi orrende, queste in opposizione alle giuste rivendicazioni dell’eroe, come quella assurda e ingiusta di Cefalonia, rammentata proprio, come la mitica, in chiusura dell’opera, forse a significare, da ultimo, la differenza tra il senso nobile della giustizia familiare dell’antichità mitica di Odisseo e l’orrore invece della nostra moderna, inqualificabile e feroce decadenza umana. Nereo Bonifazi |
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