Recensioni novembre 2013 |
In una bella confezione editoriale targata Ibiskos Ulivieri il libro di poesie “Le stagioni del cuore” di Bruno Ferrari, leggero e soave alla lettura denota una grandissima voglia di partecipare al pubblico quei miti sentimenti di cui il nostro poeta medico va fiero. Infatti spesso i medici sono stati e sono portatori di delicati sentimenti, in virtù del fatto che nella loro professione, spesso dannatamente avara di emozioni e arroccata ora più che mai fra ricette e richieste di esami, si vestono da burocrati, dimenticando i principi di Ippocrate. Allora per compensare questa perdita di sentimenti, in virtù del fatto che quasi tutti provengono da studi classici, alleggeriscono il loro modo d’essere dirigendo il loro bisogno di partecipazione sentimentale ed emotiva verso la poesia. Ed ecco il nostro bravo dottore che si riempie l’anima di sentimenti leggeri recuperati alla memoria e legati da quel nodo di amorosa tenerezza che gli fa dichiarare sottovoce il suo bisogno di amare e tessere relazioni amicali con uomini e cose. Sono proprio le stagioni del cuore quelle di cui parla Ferrari, stagioni che si aprono con la gentile canzone dedicata al pettirosso che si posa sulla sua mano al quale, nella carezza sul capino, prima di lasciarlo libero affida il dolce incarico di andare dal figlio lontano e disattento per portargli un dolce saluto. E ancora il senso di abbandono alla morte del suo cane ”Dove vanno a dormire /i cagnolini quando/ tramonta il sole / starò bene anch’io”. Versi che richiamano alla mente sentimenti di eterna solitudine cui la poesia regala una veste più leggera. Sentimenti che si fanno ancora più tangibili e corposi quando il nostro poeta si sofferma a considerare il suo passaggio terreno “quando lascerò l’amata terra/ per volare su una stella…sarà autunno…in un giorno denso di nebbia/quando anche le strade/…perdono il loro nome”. Da non dimenticare il suo bisogno di luce in un mondo che ne è apparentemente privo ”Bambino /non paventare il buio/ è il figlio cieco della luce/ che lei guida nell’oscurità/ tenendolo per mano…” E ancora il suo delicato sentimento rivolto ai piccoli esseri della terra” La sera tarda/ ma non posso /lasciare a metà/ ìl concerto dei grilli”. Un amore dilatato e grande verso tutte le creature che si muovono, si agitano, camminano, amano e soffrono nel mondo di cui anche lui fa parte, seguendo le stagioni del cuore che non tutti comunque avvertono. Infinitamente dolci e malinconici i versi che riprendono ancora il tema della morte “cade il seme nel silenzio/la foglia gialla/senza più sogni né speranze/ …così anch’io cadrò/ …senza rumore…Tema che ricorre spesso nei versi e dispongono il lettore alla riflessione e allo sguardo dentro di sé. E ancora nel tema dell’infanzia “quando un bimbo nasce/il suo pendolo è fermo/e la clessidra vuota/…si fa strada il sentimento del tempo che frammisto a quello della luce, della morte, della solitudine rendono la poesia di Ferrari carica di messaggi…da ascoltare, per un’immediata comprensione. Versi dolci e carichi di significati da cogliere se nel cuore batte ancora il sentimento genuino della comprensione ampia, rivolta verso ogni creatura creata. Filosofo poeta lo definirei e non me ne vogliano i seguaci di Nietsche. Giuliana Matthieu
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Fabrizioe Nicola Valsecchi - Giorni di neve, giorni di sole – Casa Editrice Marna, 2010
Il
viaggio di ritorno di un italiano d’Argentina “Abbiamo l’aria di italiani
d’Argentina, ormai certa come il tempo che farà e abbiamo piste infinite, negli
aeroporti d’Argentina, lasciami la mano che si va”. Cantava Ivano
Fossati in “Italiani d’Argentina”. Dell’argomento trattano anche Fabrizio
e Nicola Valsecchi nel loro “Giorni di neve, giorni di sole” pubblicato nel
2010 dalla Casa Editrice Marna. E lo fanno con una narrazione che strappa
le lacrime, che lascia solchi profondi nelle coscienze, che fa sorgere
interrogativi in chi legge e si trova a condividere idealmente con il
protagonista il suo viaggio di ritorno verso una patria idealizzata, amata,
anche se mai rimpianta. Dopo due romanzi che si insinuavano con
originalità nel mondo della fantasy (“La Chiromante” - 2002 e “B. e gli uomini
senz’ombra” - 2004) i gemelli cernobbiesi Fabrizio e Nicola Valsecchi si
concentrano su una storia vera e narrano con grande efficacia, con uno stile
piacevolmente asciutto l’epopea di Alfonso Dell’Orto, emigrato nel 1935 in
Argentina, che fa ritorno al suo paese natale, Piazza Santo
Stefano (frazione di Cernobbio) dopo 70 anni. Non si tratta di un semplice
tornare a casa, ma di un percorso iniziatico che lo fa sentire di nuovo accanto
alla figlia scomparsa, come tanti nella sciagurata stagione dei desaparecidos
Argentini, quello della dittatura, che dal 1976 al 1983 ha lasciato scomparire
migliaia di giovani e altri individui (30.000 persone scomparse) invisi al
regime. “Giorni di neve, giorni di sole” si apre con la prefazione del premio
Nobel per la Pace 1980 Adolfo Perez Esquivel e la postfazione deL
segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli Gianni Tognoni.
Questo lavoro, scritto, come i precedenti, a quattro mani, non propone semplicemente
una critica sferzante, stile “Garage Olimpo” alle vicende buie argentine, ma
affronta le difficoltà (i giorni di neve) e i momenti di speranza (i giorni di
sole), analizzando in qualche modo la nostra emigrazione, facendo riferimento
all’Italia del passato, che sembra così lontana dal nostro presente di paese
poco tollerante verso chi viene da noi in cerca di fortuna o solo per tentare
una vita meno grama. Al centro del racconto c’è il valore della famiglia e,
alla fine la voglia, dopo una vita felice (fino a un certo momento) in un altro
paese, di ritrovare le proprie radici, di riscoprire i profumi, i colori della
propria terra. Un viaggio nella memoria, emozionante, commovente e ricco di
sincero pathos. Giovanni Ballerini
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