Recensioni novembre 2019 |
Luisa Bolleri - Precipitare - Leonida Edizioni - 2019 Ho
letto Precipitare di Luisa Bolleri (Leonida Edizioni, Reggio Calabria 20 19).
Un titolo emblematico quello scelto da Luisa Bolleri per la sua ultima raccolta
di racconti, che mi suggerisce una doppia interpretazione.
"Precipitare" nell' abbandono, nell’apatia, nella follia, nella
disperazione o "precipitare" nell'indifferenza, nella mancanza di
empatia, di compassione, di umanità, per dirla con una sola parola? La raccolta
consta di ventuno racconti brevi, ognuno dei quali si incentra su un problema
dell'attuale società ma anche su eventi criminosi. L'intento dell' Autrice è,
appunto, quello di richiamare l'attenzione del lettore sul dramma umano, che le
disfunzioni della odierna società comportano, aspetto che spesso sfugge ai più,
assuefattisi ormai alla serie di fatti di cronaca nera che vengono sciorinati
dai mass media con gelido distacco. La sua intenzione è ben palesata dalla citazione
di E. M. Cioran in antiporta, la quale recita: "Un libro deve frugare
nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo". E
di ferite questa raccolta ne provoca molte, profonde e sanguinanti! Leggendo si
ha l'impressione che le situazioni trattate siano in fila su di un palcoscenico
buio e che ogni racconto, come un faro, ne illumini una alla volta, mettendone
in evidenza i molteplici aspetti, quelli che riguardano il singolo individuo
e/o la collettività. E così, di volta in volta, il faro si accende sul suicido
di un padre di famiglia che è stato licenziato e che in una fredda alba scivola
nel fiume. Ora si accende su storie di disabilità fisica e mentale vissute nel
degrado e nell' isolamento, creati dagli stessi familiari, da coloro, cioè, che
per primi dovrebbero prendersi cura dei bisognosi. Si tratta di situazioni
spesso sotto gli occhi dei vicini di casa, a conoscenza di movimenti sospetti,
di sparizioni di persone, eventi che però essi preferiscono ignorare, per
essere discreti, per non impicciarsi: «E che ne so io, di cosa contengono quei
sacchetti? lo lavoro e sto poco in casa. Se una volta ho incrociato la signora
con i sacchetti non mi sono posta troppe domande» (da "Segregata"),
espressioni ricorrenti che mascherano indifferenza e ipocrisia. Analogamente,
si finge di non vedere lo svolgersi di altre tragedie, l'uomo violento che
urla spesso contro la sua compagna, la coppia che si dibatte tra i debiti, la
figlia, in seno a una famiglia di immigrati, "partita" ma in realtà
venduta per denaro o concessa in sposa minorenne. E così via. Ogni racconto è
emblematico di una situazione, di un crimine. E il faro impietoso illumina
femminicidi, stupri, episodi di pedofilia, crimini stradali. Ma non è mera
cronaca quella di Luisa Bolleri, ché l'Autrice, forte delle doti di psicologa
già dimostrate nelle sue precedenti opere, mostra il dramma interiore vissuto
dalle vittime sensu lato, dramma che va dallo spaesamento, dal semplice
disagio, dall'inquietudine, dallo sconforto, all'angoscia, al terrore, alla
disperazione, ora urlata scompostamente ora lucidamente silenziosa. L'Autrice
mostra abilmente ai lettori tutta la gamma dei sentimenti propri delle
situazioni trattate in un inesorabile crescendo. Dalla narrazione emerge una
società in cui sono "tutti innocenti, forse tutti colpevoli" (da
"Segregata"), in cui impera "un'umanità indifferente,
indirizzata verso il niente", dove "la gente a piedi scansa" chi
ha bisogno di aiuto, dove "le auto scorrono impazienti lungo il senso
unico" (da "I pensieri uccidono"), una società che non è al
servizio dell'uomo ma in cui egli è al servizio della stessa, in cui ogni
individuo è un ingranaggio non indispensabile, una collettività completamente
disumanizzata, ormai priva di valori. E viene in mente la "società
liquida" del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman nella quale, a seguito
della crisi del concetto di comunità, emerge un individualismo sfrenato, dove
non esistono compagni di viaggio ma tutt'al più antagonisti da cui guardarsi. La
tecnica narrativa va dalla classica narrazione in terza persona, a quella in
prima persona, più coinvolgente; decisamente particolare, l'ultimo racconto in
cui la protagonista, vittima di femminicidio, si rivolge a se stessa per
parlare a tutte le donne. Metafore dalla grande potenza evocativa conferiscono
pathos alla narrazione, suscitando nel lettore emozioni che difficilmente
dimenticherà: "Cupi ricordi sarebbero riaffiorati prepotenti, come melma
velenosa vomitati da una fogna sotterranea" (da "Ad Alessandria c'è
il mare"). Fa soffrire questo libro di Luisa Bolleri ma, ritengo, che ogni
tanto soffrire sia necessario se può servire a soffermarsi su di una parte di
umanità spesso da noi tutti dimenticata. Ester Cecere |
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Dall'India a Lampedusa. Soste di viaggio di Ester
Cecere, Wip Edizioni, Bari 2019
Dovrei
trattenere la penna per evitare di dire o incensare questo libro che, a mio
modesto avviso, è quanto di più raffinato ed esaustivo la poetessa scrittrice
abbia prodotto fino a questo momento. Che sia una valida penna è fuori
discussione, che tenga in mano i cordoni della letteratura, della poesia, dell’ars
scribendi è altrettanto appurato. Dovunque la sua penna appoggi l'interesse,
subentra uno scavo, un'indagine continua che porta il lettore su percorsi a
volte misconosciuti e troppo spesso dimenticati. Che la nostra autrice sia una
persona di carattere, forza morale e grande impegno sociale era già noto a
tutti coloro che si sono cimentati nelle di lei letture precedenti Con l'India
negli occhi, Non vedo non sento, Istantanee di vita dove la nostra, armata di
una grande forza morale e un grande spirito di osservazione ci introduce con
magistrale levità su percorsi difficili, contorti e talvolta controversi. Su
tutto però e mi riferisco ai problemi sociali, all' immigrazione, ali'
inserimento degli altri, i tanti altri che ci guardano da vicino, ci giudicano
il più delle volte soffrono, la penna della nostra è delicata e non affonda mai
nei problemi più grandi di lei. Guarda, controlla, partecipa, lieve come una
piuma che non intende affondare né ferire. La protagonista Alessandra in questo
suo vagare attraverso i percorsi della misteriosa India guarda, osserva,
trattiene, non giudica. Offre le mani con il palmo aperto e si carica delle
altrui sofferenze ma non per buonismo o eccessivo pietismo nei suoi occhi si
scolpiscono le immagini cui assiste: l'elefantino nella India turistica che non
riesce a sostenere il suo carico umano, l'indifferenza del conducente,
l'impassibile silenzio dei tanti altri che non avvertono tale disagio e su
tutto domina la mancanza della partecipazione umana. Lei invece con il suo
occhio vigile, attonito in alcuni momenti, duro in altri, censura, abbatte,
conforta e vigila senza tuttavia farlo pesare. La poetessa non si atteggia a
giudice, né tanto meno vuole ergersi sul tribunale dei diseredati a
fustigatrice dei costumi, non vuole fare il Savonarola, né tantomeno
l'impietoso Caronte che annoda la coda una o più volte e ti invia a scontare i
peccati nei vari gironi dell'Inferno. A questo ci pensa già la chiesa e le
strutture di cui abbondiamo. No, Ester è una di noi che guarda, si rende conto,
vorrebbe e il più delle volte lo fa, mettere un freno alla cattiveria, elargire
gratis dei buoni del tesoro che in fondo il più delle volte sono soltanto un
bacio, una carezza, un augurio a costo zero. E l'impressione che resta in noi è
l'assoluta leggerezza di Ester la scrittrice che sembra transitare per il
nostro mondo in punta di piedi, senza urlare, senza accusare, ma con il pregio
di raccontare il mondo e la sua gente. Giuliana
Matthieu
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Laura Rainieri, In altre stanze, Ed. Cofine 2018
In
altre stanze è il nuovo libro di Laura Rainieri, una raccolta di poesie in cui
l'autrice, attraverso la propria ricerca poetica, ha operato quell' evoluzione
stilistica con cui ogni linguaggio, per non standardizzarsi, deve fare i conti.
Evoluzione correlata da sempre, e particolarmente in questo nostro tempo, a
quella serie di dinamismi tecnologici che, con una sempre maggiore rapidità,
avvengono in ogni ambito vitale, i cui esiti si ripercuotono, ovviamente, anche
nella struttura del linguaggio. Di fronte a questo cambiamento di stile
linguistico nella poesia di Rainieri sono rimasta per un attimo disorientata,
per esserne poi attratta. Giorgio Linguaglossa, nella postfazione intitolata:
L'epoca della stagnazione spirituale dà chiare risposte al riguardo, poiché fa
riferimento all'affermazione del poeta statunitense Wallace Stevens che oggi la
poesia resta senza alcun destinatario. In questo senso, la poesia di Rainieri
attecchisce al lutto di una perdita, approdando così ad una nuova concezione
della lirica nell'età della post-lirica. In tale evoluzione dunque, il
linguaggio rainieriano mi ha consentito di trarre dai versi i significati più
aderenti alla mia sensibilità. Come si fosse sollevato un velo, centratissimi
al riguardo mi sono apparsi i versi della poesia Mare-moto che recitano: Dio
solo, perfetta fissità, /Lui. Mai nato e mai morto. Noi, Maria, sbattiamo le
ali / tra il Nulla perfetto del prima e del dopo (p. 64). Non è certo un caso
il richiamo a Maria Zambrano la cui filosofia poetica Laura Rainieri ha immesso
nella versatilità del proprio linguaggio, attuando così la fusione emozionale
di cuore e mente e, per estensione, di spirito e materia. Di fatto, nei versi
di Laura qui sopra citati, il lirismo emotivo trova la sua precisa chiave di
lettura nella "passionata freddezza" dell’io ragionante. Da ciò, la
spinta a riflettere su versi come questi: Il giorno si annida nella notte /
l'inverno incappucciato nell'estate (p. 61). E ancora: Se non hai ali per
volare / meglio il piede sui ciottoli sicuri (Ibidem). Versi nei quali il
fascino allusivo del non detto crea atmosfere di sospensione che, fondendosi
con l'evidenza veridica del detto, rendono visibilità all'invisibile. La poesia
dal titolo eponimo a quello del libro, è da leggersi, a mio avviso, come il
compendio di alcune fasi della vita dell’autrice, che si dipanano nella
pregnante misura delle parole in cui risuonano echi di un'infanzia fabulosa
come un canestro è vaporoso/ intrecciato di giunco; di giovinezza con i
baci-tesoro [ ... ] che "mutano l'orizzonte (pp. 8-9); e ancora, di maturità:
Ma poi il tempo non promette. /Presto canterà l'uccello della notte (p. 9); e,
più avanti, di una profonda, acquisita consapevolezza: Le ombre allora
risorgono chiare / dal fondo più fondo del pozzo (Ibidem). Tutto ciò per
giungere all'irrisolta domanda finale, pronunciata con tremebonda insicurezza:
E quando di tutto mi sarò spogliata / leggera come un’anima/ il fardello dal
ponte / [ ... ] Mi porgerai sul filo delle labbra / nella tua acquasantiera la
parola? (ibidem). Dunque, l'essere e il non essere, il tutto e il nulla, la
storia e il mito sono presenti in una sorta di richiamo ai Dialoghi con Leucò
di Cesare Pavese, dove la meditazione avviene con gli dei dell’Olimpo
attraverso i dialoghi sul tutto e sul nulla, sulla morte e sull’immortalità. Anche
la natura, nella forma di questo nuovo linguaggio rainieriano, viene
rappresentata nei suoi elementi essenziali con immediate definizioni, qui
appresso esemplarmente citate: La liquidità del mare sommerge; Rifiuta le
impronte la terra; l'aria scioglie nell'etere, brucia il fuoco sé stesso (p.
17). Così il filo degli elementi della natura s'intreccia con i sentimenti
umani, nel senso di quello speciale feeling che con la natura intessiamo; filo
che si allunga; si ferma, si fissa, ma anche si spezza per la noncuranza con
cui da noi la natura viene crocefissa a quel nodo che è esca/ per il pesce
(ibidem). Il lirismo nell'età della post lirica di Laura Rainieri mi ha colpita
e commossa per la capacità di essere, ad un tempo, puro ed essenziale, ma anche
intensamente sentito come, in campo figurativo, esprime l'immagine della
ragazza in copertina, un particolare dal quadro The Wave di Frantisek Kupka,
immagine che a Laura somiglia moltissimo nel saper affrontare con coraggio
l'ondata fragorosa della vita, sia di gioia sia di dolore, ma anche, e
soprattutto, con quella fiducia fatta di amore e di speranza appartenenti ad
un'anima libera e forte. L'anima dì un vero poeta. Franca
Maria Ferraris
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