Recensioni novembre 2020

 

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Maria Teresa Infante Collisione di interni, Castiglione di Sicilia, 2019 Il Convivio Editore

Una poesia matura (ho avuto il privilegio di leggere le sillogi della Infante), una evoluzione stilistica formale che è di chi "ama", ha passione del poetare denigrato dai "poeti" - per l'ap­punto tra virgolette - dozzinali, della domenica. Nella poesia, va da sé, c'è sempre lo scontro incontro con la realtà quotidiana che non è la nostra res: ciò che invero ci riguarda assurge all'u­niversalità del "sentire", proprio perché ci assorbe, ci travolge nella sua essenzialità. Quando la Infante parla del "per sé", in verità dice del "per noi"; noi esseri umani abbiamo una matrice comune che si può riassumere con le seguenti parole: "vivre est sentir" (Cabanis,physiologiste et médecin).Senza andare oltre in digressioni, le quali pur dovrebbero esser fatte nostre, ciò che mi ha colpito è il sostrato di tale silloge, è il suo "PERDERSI". Un eros che non è baci, abbracci o amplessi, bensÌ una tensione verso; un eros quindi sublimato ma coinvolgente. Si assiste al dialogare tra lei e il "muto desiderio" (il non detto), che è il senso stesso del suo "dicere", in tale raccolta.

Questa silloge inizia cosÌ nell'incipit:

quando non ci sono

sono tra le strade

che vanno verso il mare

(il perdersi-repetita- è base in tale raccolta).

E da lì che si dipana il dettato poetico di Maria Teresa. Si vede che "in prima classe non v'è alcuna ferita": noi siamo tutti clandestini, le parole stesse sono clandestine. Chi non rivedrebbe nel "mito sempiterno" del Simposio platonico codeste parole? Amori dispersi in galattiche indifferenze, come stelle, ad incontrarsi mai. Anche nel viaggio compiuto a Medina si percepisce tale tensione, tale "erotismo", tale amore che si espande, nutre, quale alito vitale (pneûma) tutto. E l'animo dell'es­sere umano, del vedere (theoria) che dà, crea il milieu: lo rende nostro. Va la poetessa alla genesi, all'essenza così quando dice dei luoghi (vv. 4-5): luoghi da raccontare, nei quali mi sono lasciata amare (p. 76). E chiude tale mirabile crestomazia con "Teresa" e "Versandomi", dove sempre si è nell'incedere della vita, "solo ogni volta che verso"- "liquidi dal mio petto / sparge sul pavimento gocciolio esistendo". Nelle "bassure dell'esperienza", direbbe Kant (senza pruriti esistenzialistici), io vivo, trovo me stesso, il senso pro­prio dove c'è delusione e illusione: la realtà e il nostro spirito si confrontano, si misurano con l'altro che è primariamente "natura", "materia", "hýle", "esperienza di vita": un vissuto solo facendo i conti con il sé, dal quale l'imago o le rêve può far fruttificare l'essere.

Enrico Marco Cipollini

 

 
 

 

 
 

 

 

 

 

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