Recensioni novembre 2020 |
Maria
Teresa Infante Una poesia matura (ho avuto il privilegio di leggere le
sillogi della Infante), una evoluzione stilistica formale che è di chi
"ama", ha passione del poetare denigrato dai "poeti" - per
l'appunto tra virgolette - dozzinali, della domenica. Nella poesia, va da sé,
c'è sempre lo scontro incontro con la realtà quotidiana che non è la nostra
res: ciò che invero ci riguarda assurge all'universalità del
"sentire", proprio perché ci assorbe, ci travolge nella sua
essenzialità. Quando la Infante parla del "per sé", in verità dice
del "per noi"; noi esseri umani abbiamo una matrice comune che si può
riassumere con le seguenti parole: "vivre est sentir" (Cabanis,physiologiste
et médecin).Senza andare oltre in digressioni, le quali pur dovrebbero esser
fatte nostre, ciò che mi ha colpito è il sostrato di tale silloge, è il suo
"PERDERSI". Un eros che non è baci, abbracci o amplessi, bensÌ una
tensione verso; un eros quindi sublimato ma coinvolgente. Si assiste al
dialogare tra lei e il "muto desiderio" (il non detto), che è il
senso stesso del suo "dicere", in tale raccolta. Questa silloge inizia cosÌ nell'incipit: quando non ci sono sono tra le strade che vanno verso il mare (il perdersi-repetita- è base in tale raccolta). E da lì che si dipana il dettato poetico di Maria Teresa.
Si vede che "in prima classe non v'è alcuna ferita": noi siamo tutti clandestini,
le parole stesse sono clandestine. Chi non rivedrebbe nel "mito
sempiterno" del Simposio platonico codeste parole? Amori dispersi in
galattiche indifferenze, come stelle, ad incontrarsi mai. Anche nel viaggio
compiuto a Medina si percepisce tale tensione, tale "erotismo", tale
amore che si espande, nutre, quale alito vitale (pneûma) tutto. E l'animo
dell'essere umano, del vedere (theoria) che dà, crea il milieu: lo rende
nostro. Va la poetessa alla genesi, all'essenza così quando dice dei luoghi
(vv. 4-5): luoghi da raccontare, nei quali mi sono lasciata amare (p. 76). E
chiude tale mirabile crestomazia con "Teresa" e
"Versandomi", dove sempre si è nell'incedere della vita, "solo
ogni volta che verso"- "liquidi dal mio petto / sparge sul pavimento
gocciolio esistendo". Nelle "bassure dell'esperienza", direbbe
Kant (senza pruriti esistenzialistici), io vivo, trovo me stesso, il senso proprio
dove c'è delusione e illusione: la realtà e il nostro spirito si confrontano,
si misurano con l'altro che è primariamente "natura",
"materia", "hýle", "esperienza di vita": un
vissuto solo facendo i conti con il sé, dal quale l'imago o le rêve può far
fruttificare l'essere. Enrico
Marco Cipollini
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