Recensioni novembre 2021

 

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Luca Pagliai "L’Alfabeto della sofferenza" - Albatros

Leggo dalla biografia. Nato a Livorno il 25 agosto 1987 ... Fin da piccolo ha dimostrato talento per la scrittura poetica, incoraggiato anche dalla madre, maestra elementare. Ha ab­bandonato gli studi in terza liceo Scientifico per colpa di un carattere abbastanza ribelle, anno in cui, ironia della sorte, il professore di lettere gli sconsigliò di scrivere perché troppo "tematico e noioso".

Come insegnante sento il dovere di esprimere scuse: quante volte i "bravi" allievi memorizzano in noiose cantilene filastrocche senza senso, per soddisfare una neutra valutazione docimolo­gica da parte dell'insegnante. Pensiamo anche ai grandi come Dante, subito e non compreso, presentato come Sommo Poeta in veste austera ed irraggiungibile, il che non appassiona certo i giovani. Invece pensiamo che lui scriveva rime a venti anni, come un rapper e non un dotto cattedratico.

Purtroppo con Luca è successo di peggio.

Sempre dalla biografia. Da quel momento (dopo l'abbandono della scuola) la sua vita sprofondò nel dramma delle dipendenze. Fortunatamente nella comunità di recupero, per gioco e per terapia, riprese a scrivere e nacque questa sua prima pubblica­zione, terminata nel 2020, finalmente "pulito" dalle dipendenze. Scrittore sconosciuto ai più, meriterebbe di assurgere agli onori della cronaca, sia perché con il suo scritto offre un mezzo te­rapeutico inconsueto, ma efficace, sia perché ci dimostra come la poesia e la scrittura possano essere più di un hobby o di un lavoro, bensì la vita stessa di un uomo. Luca è sprofondato nell'abisso degli stupefacenti da cui nessuno lo avrebbe potuto salvare, se non lui stesso con la propria volontà che si è nutrita di parole, di alfabeti di senso che hanno conferito nuovamente un senso alla "sua" esistenza.

Non mai come in questi casi, il libro è un amico fedele "dove trovi due beni: te stesso ed una tregua dalla identità" (Barbara Alberti). Scrive Emily Dickinson: "Non esiste un vascello come un libro / per portare i in terre lontane / né corsieri come una pagina / di poesia che s'impenna. / Questa tra versata la può fare anche un povero, / tanto è frugale il carro dell'anima". E Luca è salito sul vascello della poesia, con tutta la sua anima ed ivi ha tradotto sapientemente i suoi sogni. Il libro per lui ha avuto una funzione catartica e taumaturgica. Come lettore ha ritrovato le emozioni che qualcun altro ha confessato per lui, potendo così a sua volta esprimersi senza pudore; come scrittore ha superato e sublimato le sue esperienze negative traducendole in visioni.

"È meglio vivere soffrendo / che morire rimpiangendo". "Ran­dagio abbandonato, / dormo nei vicoli sporchi dell'esistenza. / Non cerco clemenza, / solo avanzi di cui nutrirmi, / scarti di vite altrui". Ecco alcune immagini che lui stesso ci propone tramite "la scrittura, mezzo potente per esprimersi e può essere contagiosa". In effetti la persona che ha ispirato Luca, la sua musa (l'amica Debora), ha scritto a sua volta una poesia sotto suo (di lui) consiglio per esorcizzare i propri dispiaceri. Semplice e significativo il suo ringraziamento ai familiari "persone che mi hanno sempre accettato per quello che sono. Nonostante tutto, loro ci sono sempre". In fondo Luca è un ragazzo come tanti, nato in una famiglia come tante, in cui ambiente, fatti ed eventi, persone e luoghi, hanno determinato morte e redenzione, sconfitta e catarsi.

Da cristiana credente mi piace porre a conclusione, in analogia con la quotidianità della umana esistenza, la poesia "Risorto" ove trapela la sua esperienza (un'umile vita ... dove nulla è perduto ... Forse ti sei immolato per i nostri peccati? Poveri senzadio noi che ce ne siamo scordati):

Uomo ... Che hai speso trentatré primavere in un'umile vita. Che per quaranta giorni e quaranta notti hai resistito al caduto. Che c'hai fatto credere che nulla è perduto.

Ti chiedo con somma tristezza,

il motivo,

per il quale sei andato a morire su di una croce marcia e lezza.

Forse ti sei immolato per i nostri peccati?

Allora poveri senzadio noi

che ce ne siamo scordati.

Avanti così, Luca! Tu lo dici in "Quando?" Riferendoti a quando Lei (ovvero la morte) ci verrà a scortare.

"Quando lei ci verrà a scortare?".

Voi insistete e state al passo,

Continuate a far rotolare il vostro masso.

E quando avrete recitato la vostra ultima battuta, risalite il fiume dei ricordi.

E siate sicuri,

che del canto della vita non siete stati sordi.

Dalla prefazione di Pamela Michelis:

. .. Luca non ha fatto un percorso semplice: succede, sembra banale a dirsi, ma a volte noi esseri umani abbiamo la capacità di perderei e sprofondare in abissi inimmaginabili, in luoghi da cui nessuno potrà portare i via se non da soli e con la nostra volontà. Alcuni elementi esterni, però, hanno la straordinaria per non dire spaventosa forza in negativo, ben s'intende, di spingerei ancora più giù e proprio questo ci rimanda alla frase incriminata: come si può pronunciare una sentenza così grave su un qualcosa di straordinario come la scrittura?

Sandra Cavallini

 

 
 

È stato recentemente realizzato con il contributo dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Settentrionale e di Porto Immobiliare Srl, per le edizioni Pacini, il volume "Il Silos Granario nel Porto di Livorno. Da Architettura dell'Economia a Landmark Urbano"a cura di Andrea Cecconi e Olimpia Vaccari. Vero e proprio baluardo paesaggistico- ha detto il Presidente dell'AdSP Stefano Corsini- oggi collocato come un'enclave al centro di un 'area che resta adibita a piazzale di imbarco a servizio dei traghetti, l'ex Silos Granario è il biglietto da visita con cui Li­vorno si presenta a mare. Il recupero del Silos, formato da due fabbricati adiacenti- uno risalente agli anni Venti e catalogabile alla voce archeologia industriale, e l'altro costruito negli anni Sessanta, non vincolato dalla Soprintendenza, rappresenta senz'altro per la nostra città una sfida da vincere. Di che cosa fare di questo bene si è discusso a lungo in passato: l'Autorità Portuale e il Comune si sono incontrati più volte negli anni per arrivare a definire nel dettaglio un nuovo Piano Particolareggiato per stabilire le destinazioni d'uso della struttura, sia della parte protetta dalla Soprintendenza, sia di quella più nuova. Oggi quel Piano Particolareggiato è in via di approvazione, ma la vera priorità rimane sempre una: recuperare la capacità di gestire le risorse del territorio in modo efficace. Un'area da valorizzare, delimitata dalla Fortezza Vecchia e dalle Calate Sgarallino e Punto Franco, in posizione strategica per i traffici portuali e di valenza storica per la nascita della città di Livorno e lo svi­luppo del suo porto. Valorizzare la memoria e le tradizioni di un passato economico importante per il Porto di Livorno quale il Silos granario - ha detto Lorenzo Riposati, Amministratore Unico Porto Immobiliare srl- è stato uno degli impegni che mi sono posto nello svolgimento dell'incarico di Amministratore della Porto Immobiliare.

Cristina Battaglini

 

 
 

lo ce l'avevo nella memoria tutto quanto,

ero io stesso il mio paese:

bastava che chiudessi gli occhi e mi raccogliessi ...

per sentire che il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro,

tutto era fatto di quella sostanza,

e oltre me e quella terra non esisteva nulla.

(Cesare Pavese)

Una domenica mattina baciata dal sole, risvegliata alla libertà. Le noie e gli impegni quotidiani esiliati, senza rimorso, in un angolo blindato dei nostri pensieri. La strada che, poco battuta, attraversa la campagna vestita di verde e oro. La brezza che entra dal finestrino, danzante ancella di rediviva primavera, regalando un frizzante respiro di salmastro lontano.

E la mèta che ci aspetta, senza fretta, pronta a stupirsi del nostro arrivo, per offrirci un inaspettato viaggio nel passato.

Questo lo scenario che nella mia mente ha preannunciato l'ingresso nell' ovattato mondo di "Per borghi, rocche, castelli" della nostra direttrice Giuliana Chiocchini Matthieu, volume edito nel 2020 per i tipi dell"'Ibiskos Ulivieri", nella collana "Le zagare". La dedica è per il marito, Dott. Pier Francesco Chiocchini, e il sottotitolo, "A spasso con Repetti", vuole omaggiare, in tono quasi confidenziale, come fosse un vec­chio amico e compagno di avventure, Emanuele Repetti, nato a Carrara nel 1776, appassionato di scienze naturali, socio dell' Accademia dei Georgofili, e soprattutto stimato autore del "Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana", pubblicato a Firenze tra il 1833 e il 1846, inizialmente diviso in fascicoli e poi raccolto in cinque volumi. L'opera raccoglie la storia naturale e civile di ogni paese della regione, come Repetti stesso afferma nella prefazione ("Frattanto ho consumato un mezzo lustro nel percorrere varie contrade, nel visitare biblioteche e archivi, nel raccogliere o rettificare i fatti che in qualche modo riguardare potevano la topografia fisica, la storia civile o ecclesiastica, l'economia pubblica o privata di una qualche città, terra, castello o villaggio"). Estremamente dettagliata la ricostruzione dei passaggi di proprietà, tra i reggenti del tempo, delle varie località prese in esame (spesso roccaforti d'importanza strategica, tramandate dai giochi di potere), a suggello di una rigorosa e attendibile catalogazione giuridico-amministrativa, che l'autore, con indulgente modestia, non dichiara immune da possibili difetti, né esente da aggiunte o correzioni.

Come un meticoloso artigiano, Repetti assembla le tessere del mosaico socio-economico-culturale della Toscana ottocentesca, componendo un quadro itinerante di memorie, frutto del varie­gato alternarsi delle vicende umane.

Pur partendo dalle puntuali informazioni contenute nel "Dizio­nario", e facendone doverosa cornice per il suo scritto, Giuliana Matthieu va ben oltre, accompagnandoci in un suggestivo percorso, attraverso il multiforme paesaggio delle colline livornesi. Paesi di antichi nomi, cresciuti nel morso pungente del vento, incastonati in un frammento di realtà miracolosamente sfuggito alla conquista del moderno, all'indefesso e cannibale comandamento del progresso.

Perciò noi, umili viandanti che bussiamo alla loro porta, en­triamo in punta di piedi, facendo attenzione a non calpestare il sussurro del giorno che fu, il dolce racconto dell'erba, la ruvida dignità della roccia. Siamo stranieri in una terra di confine, apo­stoli di una frenesia lontana, oltre l'orizzonte. Svestiamoci di noi stessi, ripercorriamo il pudore di pagine andate; cerchiamo di capire, di ascoltare il respiro delle anime. Portiamo ossequio alle rugginose croci in ferro, alle lastre di marmo ingiallito che vegliano il sempiterno sonno; ai sussurri di bocche socchiuse nella preghiera, a sillabare gli indimenticati nomi di chi non è più.

La natura ci abbraccia, nella sua dimensione pura, quasi primiti­va, a richiamare il sudato patto con il cielo e la terra; le chiome degli alberi parlano, oggi come ieri, la lingua della tramontana, specchiandosi nella cartolina dei declivi.

Bolgheri con i suoi carducciani cipressi e il piccolo cimitero. Montepescali e le sue torri svet­tanti. Crespina e le sue magiche civette. Montegemoli e il suo forno. E poi Belforte, Canneto, Gerfalco, Montemassi, Populo­nia, Rigomagno.

E altri fratelli e sorelle, a condividere lo stesso desco. Umili borghi e castelli dai nobili retaggi. Archi di pietra annerita e trionfi di gerani sui balconi. Colombi innamorati a tubare nei campanili e lucertole di smeraldo assopite in un angolo di sole. Vergine muschio a far capolino tra i ciottoli dei sentieri.

Profumo di pane appena sfornato e olio nuovo, di legna bruciata. Farina sui grembiuli.

Finestre che sbirciano la curiosità del turista a caccia di vicoli e panorami nascosti. Cantine a maturare umide vendemmie, botteghe a custodire i segreti di vetusti mestieri.

La vita tramanda la vita: ognuno dona all'altro una parte di sé, traccia del suo passaggio in questo mondo, nella prolifica eredità dell'esperienza, affinché il comune diario possa continuare. Perché in fondo il segreto è tutto qui, come sempre, e non potrebbe essere diversamente. E la scrittrice ce lo ricorda, con la sua penna arguta e la consueta sensibilità.

Ma ormai è sera, ed è tempo per noi, gente di città, di riprendere la strada di casa. Pervasi da un appagante senso di serenità, con passi leggeri, come siamo arrivati, ci accomiatiamo dal silenzio dei cortili; accarezziamo un gattone dagli occhi di giada, fieramente accoccolato su una sedia impagliata, re sul suo trono. È stata davvero una bellissima giornata, da ripetere alla prima occasione. Senza fretta, gettiamo un ultimo sguardo intorno, per metterci in tasca il souvenir del presente passato.

Repetti è ancora con noi, ad aggiornare, con l'usuale cura, il suo "Dizionario". Forse, però, non vuole tornare indietro. For­se preferisce restare qui, a ripercorrere il suo cammino, la sua storia. A finire il suo lavoro infinito. Lo salutiamo nel respiro calmo del tramonto, con affettuoso rispetto, e già sappiamo che alla prossima visita lo ritroveremo ad aspettarci con le sue carte, alla porta di un altro paese. Con il sorriso sulle labbra e la parlata schietta di un caro, vecchio amico.

Francesca Migliani

 

Da "Per borghi rocche e castelli a spasso con Repetti" edizione Ibiskos Ulivieri - 2020

Le colline Livornesi

Sbucate da una terra gentile le colline livornesi abbracciano una città che vive sul mare. Si attardano mollemente docili al vento di tramontana, a sussurrare al viandante ricordi di gesta antiche e si addormentano alla sera nelI'abbraccio dei boschi, ultime testimonianze di un mondo selvaggio, dove una vegetazione tipicamente mediterranea offre un magico tripudio di colori ...

 

 
 

Ringrazio il Cielo di essere qui

Recensione del libro sul carteggio tra Mario Castelnuovo- Te­desco, musicista ebreo che scelse l'esilio in America, e l'amico avvocato fiorentino Alberto Carocci, di cui era stato compagno di iniziative culturali attorno alle riviste promosse da Carocci a Firenze, che raccoglievano quanto di meglio si offriva in letteratura, poesia, arte grafica e musica in un periodo sovrap­ponibile al ventennio, che comprende l'arrivo alla notorietà di personaggi come Montale, Quasimodo, Colacicchi, Andreotti, De Chirico, Guttuso.

Il carteggio inizia con la corrispondenza da Larchmont, amena cittadina a poche decine di chilometri di linea ferroviaria da New York, e finisce con le lettere dalla California dalle varie sedi di abitazione fino alla definitiva Beverly Hills, mentre Carocci rispondeva da Firenze aggiornandolo sugli amici, le difficoltà a proseguire l'attività culturale, il crescendo dei temi militari in un'Italia che preparava l'entrata in guerra.

Sono perciò due prospettive diverse che si contrappongono:

Mario che scopre l'accoglienza di quel mondo, l'apprezzamento per la valorizzazione della sua arte e professione di musicista, la condivisione di quell'ansia con gli altri profughi che avevano scelto le stesso destino ma che trovarono anche loro una giusta collocazione: il cognato Anatomo Patologo Tedeschi, l'altro cognato musicologo Liuzzi, il Dottor Volterra, il Pediatra Funaro ed altri; il comune amico Bruzzichelli che cercò la difficile entrata nel mondo degli affari. Dall' altra sponda dell'Atlantico Alberto dava notizie da Firenze di amici che Mario provava a contattare per lettera, con crescenti difficoltà di comunicazione, e di cui anche Alberto aveva minore frequenza di contatto: il dottor Vincenzo Lapiccirella, il pittore Giovanni Colacicchi, lo scrittore Arturo Loria ed altri. In diverse lettere si avverte la nostalgia di quelle persone e dei luoghi di frequentazione. Ma alla fine prevale l'av­ventura nella nuova sede e dell'Italia rimangono i ricordi più vivi di Firenze, Usigliano di Lari e Castiglioncello. Di questi luoghi anche la fida moglie Clara Forti cerca di riprodurre l'ambiente, provvedendo a coltivare le erbe per la cucina (salvia, prezzemolo, basilico, rosmarino) e seguendo in proprio l'educazione dei figli ed assecondandoli nelle proposte ricche di formazione e svago: campi estivi, settimane bianche, sport e opportunità che in Italia sono arrivate dopo anni. Ed osservando con piacere l'agevole avviamento precoce al lavoro da studente del figlio Pietro (" ... cameriere, bambinaio, fotografo e perfino attore e regista!" etc) tanto da poter comprarsi un'auto a 16 anni e guidarla! Anche l'altro figlio Lorenzo godeva di una vita tutta "fantasia e giovanile sconsideratezza". Riferire queste cose a Carocci, che viveva an­cora in un 'Italia che procedeva a rilento sulla strada del progresso economico sembravano cose dell'altro mondo, anche se a quel tempo si diceva che i treni arrivavano in orario!

Nelle prime lettere si riferiva anche che in America Mario aveva potuto riallacciare rapporti già intrapresi dall'Italia, testimo­nianza è l'intervista riportata dalla scrittrice Lisa Sergio: i temi sono universali, approfonditi sul piano culturale, rispettosi di confronti con altri musicisti. Da questa scrittura così sincera, confidenziale con un amico stimato mi sembra di capire quanto il suo concetto di "patria" sia costituito dai suoi luoghi, parenti e amici, dall'educazione ricevuta in Italia, i rapporti umani; mentre la cultura non ha confini, è unica, si avvale di qualsiasi contributo da ogni parte del mondo. Sono riflessioni di un pen­satore profondo ed allo stesso tempo semplice nell' esprimersi: ne aveva già dato un saggio nella sua autobiografia parlando della "Fede". E nella sua semplicità arriva poi a descrivere il suo ruolo e il suo lavoro una volta arrivato in California, dove la sua professionalità è utilizzata per produrre musica per film non firmata, ma solo utilizzata allo scopo.

Questo ponte culturale Italia-America è una testimonianza che potrebbe farci capire o approfondire tracce che sono ancora valide e utili alla comprensione dei rapporti attuali. L'ambiente del nuovo continente, molto efficiente e ricco per le opportunità che offre, pragmatico, risoluto si offre libero alle iniziative, ma che non ha la saggezza di culture classiche come la latina o la greca, e offre ospitalità a chi la importa. Dall'altra parte una ricchezza che deriva da catene di montaggio che si riproduco­no anche nella musica e nel teatro, che ha generato comunque ottimi allievi come Mancini e Previn, ed altri vincitori di Oscar per le colonne sonore.

E quello che credo di aver recepito, nella progressione dei temi delle lettere, distillando le impressioni dai tanti "baci e abbracci" tra i due protagonisti e trasmessi ai loro comuni amici. Una nota toccante è quella della comunicazione che Alberto ha acquisito lo studio legale del fratello di Mario, Ugo Castelnuovo-Tedesco, anche perché l'ultima volta che ha salutato il fratello prima di partire è stato nel suo studio in Via dei Corsi numero 3.

Una particolare menzione credo che meriti Alberto Carocci, nel suo ruolo di promotore culturale iniziato alla fine degli anni venti. Pur non essendo lui un produttore culturale, dette la possibilità di comunicare la loro produzione a a quell' insieme di figure culturali che all' epoca erano a Firenze e si riunivano nei Cenacoli delle "Giubbe Rosse" o del "Vecchio Fattore". Racco­gliendo un'aspettativa del comune amico Giovanni Colacicchi "C'è bisogno di Sole ed Aria ... " dette vita alla rivista "Solaria" che ebbe successo negli anni di pubblicazione, ahimè soppressa dal regime all'inizio degli anni trenta. Una particolarità storica rivelata dal discendente Cosmo Salvemini, si ritrova in una nota bibliografica in cui si rivela chi era lo "Zio John" citato dai due corrispondenti: si tratta di Gaetano Salvemini, anche lui divenuto esule in America e titolare di una cattedra di "Cultura Italiana" all 'Università di Harvard. Salvemini era ancora un organizzatore dall'estero dell'Antifascismo ed un vero critico del sistema Mussoliniano, descrivendo come il regime fosse guidato da regole di opportunismo, specie sul piano internazionale. La necessità di usare uno pseudonimo si comprende dal fatto che su ciascuna busta della corrispondenza era apposto il timbro "Visto per censura", e quindi il contenuto passato dalla lettura di attenti revisori.

Antonio Cambi

 

 
 

In questo ricordo edito da Ibiskos Ulivieri, Sciabica. Storia siciliana di vizi, virtù, trappole, passioni e disincanti, Giuseppe Marchetti Tricamo, già dirigente Rai, direttore di Rai Eri e do­cente della Sapienza - Università di Roma, ci dona frammenti della sua vita che sono rimasti impigliati nelle maglie della rete. Particolari, schegge che si ricompongono a formare un mosaico che affascina e commuove raggiungendo livelli di lirismo e ricchezza espressiva. Emerge, nel romanzo che l'Autore ritiene trattarsi di un insieme di ricordi che altrimenti sarebbero andati dispersi, la storia della sua Messina e della Sicilia, ricca di apporti di varie civiltà, vero crogiuolo, a formare un caleidoscopio di avvenimenti storici ma anche di colori, gusti, sapori, profumi e luoghi unici.

Nel romanzo vi è tutta l'Isola, i sapori dei suoi dolci e le pietanze, i racconti dei paladini di Francia, i Pupi, i carretti con le storie dipinte sulle fiancate, i Beati Paoli.

Ecco così la Messina posta al confine tra il Tirreno e lo Ionio nel mare di Ulisse tra Scilla e Cariddi, luogo di bellezza straordinaria con la Riviera da dove l'Autore, dalla casa del nonno tra i pro­fumi degli agrumi, delle zagare, di essenze odorose assaporava un luogo incantato. I ricordi storici e l'arte di Antonello, di Caravaggio, il silenzio e nel medesimo tempo la ricchezza di vita. Filippo, nipote prediletto di don Pietro de Guevara, nonno paterno, vive con lui avventure fantastiche, una vera iniziazione alla vita, e immerso nella suggestiva biblioteca di villa Belviso, pilucca tra tanti tomi in particolare sulla storia del Risorgimento. Vive così le avventure della Spedizione dei Mille e di Garibaldi che incitava la popolazione a liberare l'Italia dallo straniero. Il nonno possedeva, raro cimelio, una camicia, forata dai proiettili, di uno dei picciotti di Garibaldi appartenente ai de Guevara e che morì in battaglia.

Luoghi di sogno come i borghi Paradiso con la villa Belviso che don Pietro riuscì a salvare dalla speculazione edilizia.

Sempre presente la tragedia del terremoto e maremoto del 1908 che distrusse la Città e la palazzata posta sulla riva del mare. Don Pietro raccontava a Filippo la grandezza della Casa. Di origine aragonese i de Guevara parteciparono alla guerra del Vespro e i due figli maschi di don Pietro si distinsero durante la Seconda Guerra Mondiale: il papà dell'Autore, Capitano di Marina, salvando molti ebrei che fuggivano dalle persecuzioni naziste e il fratello fu insignito di due medaglie d'argento al valore.

Per una combinazione del destino anche mio papà era Capitano di Marina che navigava nelle petroliere dell'Agip e i ricordi dell'Autore mi hanno commossa ricordandomi i tempi in cui bimba passavo nello Stretto mentre Filippo vedeva da villa Belviso il panorama e il continuo movimento di natanti di ogni tipo come la petroliera su cui ero a bordo. La vita che sorpresa! Destini che si incrociano per poi ritrovarsi anni dopo!

Il romanzo è tutto un brulicare di vite e di avvenimenti, di genti diverse, di storie che incrociano la Storia. Storia di un'Isola e della sua gente, amalgama di popoli e culture che producono una Weltanschauung variegata.

Emerge una narrazione potente e ricca di termini dialettali che rendono il racconto icastico e fortemente espressivo facendoci cogliere l'anima di un popolo e l'amore per la sua terra. Lungi da una versione edulcorata emerge una visione sentita dal profondo. Terra di vento, caldo scirocco, sole, sciabordio di onde, nostal­gia per la propria Isola che si fa struggente quando l'Autore si imbarcherà per andare incontro al proprio destino. Prometterà di tornare, giornalista, a raccontarla e mai dimenticarla perché da quell'Isola «amara terra mia», come dalla mia Sardegna, non si fugge, esse restano indelebili nel nostro cuore con i colori, i profumi, i cieli di un azzurro intenso, il sole, il mare procelloso che le circonda.

Cesira Fenu

 

 
 

Anna Maria Lombardi, Tutta colpa dell'amore Albino, Eugraphia, 2020, pp. 54

Nella collana "Anemos" per i tipi di Eugraphia è uscita l'ultima fatica letteraria di Anna Maria Lombardi Tutta colpa dell'amore, con la suadente prefazione di Antonio Valentino.

Il titolo dell'opera ci dice di che parla. Non è un trattato sull'amore (sebbene l'autrice sia psicologa e psicoterapeuta), o analisi dei casi terapeutici o ars amatoria (che in Ovidio è gioco, ludus). Sono vissuti poetici che non vogliono dettare alcuna legge, in quanto poesia" sebbene d'amore, di Eros nel senso vero e forte del termine. E soprattutto una poesia scritta e partorita da una donna, e lo tengo a rimarcare, in quanto il mondo femminile è diverso da quello maschile: sono mondi che hanno un habitus mentale differente. La donna è terra da arare e da seminare; è grembo e come tale sconosciuto all'uomo, se non per l'idealizzazione della figura materna, ed estasi dove si perde per un attimo l'identità per essere uno (il τ? ?υ di Plotino, per il quale è concetto solo intellettuale, senza corporeità, il che scandalizzò giustamente il grande Schopenhauer). Il grembo materno è tornare alla felicità originaria. L'amore che sfugge a ogni definizione o etichetta, è possibile dargli una spiegazione: è forza, vis - se volete cosmica - che lega il sé dell'individuo al sé universale. Per Empedocle, fascinoso e misterioso presofista, Amore è contrapposto ad Odio, ed è per tale motivo che si genera la guerra. E il conflitto ci fu veramente (senza citare i miti tra cui i pelasgici ed orfici), tra società matriarcale e patriarcale. Athena nasce dalla testa di Zeus, però armata in una società maschilista, e basterebbe leggersi la Teogonia e i miti greci che tanto ci dicono e non sono semplici leggende. Tornando in medias res, mi ha colpito la verità dei versi in questa silloge (vedi p. 12) dedicati al suo primo amore, suo padre. L'Autrice non dice solamente che "divenne / il primo amore", bensì ed esplicitamente" il mio primo amore". Il primo grande amore è suo padre e rimanda al complesso "gioco delle figure genitoriali” sia per la femmina che per il maschio le quali ovviamente sono differenti. E non è morto suo padre - come egli è nella realtà ma la protegge ancora col suo "stellare e ceruleo sguardo'. Un journal intime, un diario di bordo quello che Anna Maria Lom­bardi traccia: dalla tenera nostalgia al ricordo che ancora cova, al "quanto si è amato / con anima e cuore / nulla si dimentica più. Delinea le linee del cuore che riportano sempre al sacro luogo interno. Se è pur vero che l'amato è sempre visto (all'inizio almeno) come percezione (esse est percipi) in cui vogliamo vedere rilucere i lati positivi e fascinosi, riponendo in essi le nostre passioni, i nostri desideri e i nostri progetti; è altrettamo vero che oltre a "percezione" usando la celebre espressione di Berkeley, si trasforma in appercezione che ogni essere vivente non solo avverte ma necessita. Se ne ha cura proprio per dare luce e coltivare il seme affinché si rafforzi. Nulla è statico, neanche la personalità - qui lo dimostra l'autrice - nulla è fisso e immutabile. È invece tutto in fieri, in divenire continuo. È mutare forma continuamente. Ciò che ritengo valido in tale libro poetico è proprio quel dir-si, raccontar-si sinceramente. evocando in chi legge nuove e profonde suggestioni che l'amore sa dare ancora se è stato o è tuttora vissuto: quella fertilità be sa far fruttificare tale dono, tale "accadere".

E.M.C.  

 

 
 

 

 

 

 

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