Un culto, il colore, al quale si è votato senza mai ripensamenti, con una
costanza propria agli artisti che si affinano e già si affermano nel proprio
tempo, capace di analizzare gli approdi cui perviene nel fare d’artista. I suoi
lavori ignorano la ripetività, ogni dipinto fissa una visione che rimane unica,
frutto di un amplesso che non si riproporrà più se non ricorrendo a un plagio di
se stesso operato dall’artista come accade nella produzione di routine. Camici
non è mai incorso in tranelli come quello di sacrificare la tipicità
dell’impulso creativo avvertito e tradotto in pittura fino dagli esordi per
avventurarsi in mode a lui non congeniali solo perché supposte corifee di una
modernità cogente, come quelle in cui è solo l’artista a possedere la chiave di
comprensione del suo prodotto duraturo o effimero che sia. Camici, vivendo nel
terzo millennio, gode ormai di una libertà che non troverebbe ostacoli, come
invece accadde alla Indipendent Society Artists, che non accettò l’urinatoio di
Duchamp. La produzione pittorica di Camici è chiaramente leggibile perché si
richiama alla natura enfatizzata nei suoi aspetti cromatici.
Brunello Mannini
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