Recensioni Giugno 2004

 

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Recensioni

 Fulvio Venturi

L'opera lirica a Livorno 1658-1847

Circolo Musicale Galliano Masini

Livorno 2004

 

 L'ultima fatica di Fulvio Venturi ha eleganza nel tocco e parola cesellata. L'elogio è venuto dall'assessore Marco Bertini che ha presentato, presso la "Sala delle colonne" della Goldonetta (ora intitolata al direttore d'orchestra, recentemente scomparso, Massimo De Bernard) il bel libro del musicologo: "L'opera lirica a Livorno, 1658-1847)". Il volume ricostruisce il cammino di un importante momento associativo e culturale della città: il melodramma. Un itinerario che investe anche il panorama nazionale in cui Livorno occupò un posto di primo piano, visto che qui attecchivano nel passato tutte le novità (i Medici l'avevano ben capito). L'autore ci conduce per mano attraverso i luoghi dov'è nata l'opera lirica: a partire dal 1658, l'anno in cui fu inaugurato il primo teatro pubblico, lo storico Stanzone delle Commedie, rinominato sul finire di quel secolo "Teatro di S. Sebastiano". Ripercorrere l'opera a Livorno, significa ripercorrere la storia della città, ha avvertito Bertini, ricordando che, quello esaminato nel libro, ne fu il periodo aureo. Erano gli anni in cui a Livorno scendeva a fare le opere nientemeno che Ferdinando dei Medici, figlio di Cosimo III°, destinato a divenire Granduca se fosse sopravvissuto al padre. Lo chiamarono L'Orfeo dei principi o il principe dei musicisti, che egli proteggeva e consigliava. La ricerca dettagliata delle fonti, i riferimenti ai documenti d'archivio e l'accurato apparato iconografico sottolineano l'evidente passione narrativa dell'autore. C'è, nel libro, una forte attenzione per i grandi personaggi e le vicende, anche sentimentali, della loro vita. Essi calcarono le scene livornesi via via che nascevano e si affermavano i nuovi teatri cittadini. Nel 1782 fu inaugurato il Teatro Nuovo, posto dagli Armeni, poi acquistato dagli associati dell'Accademia degli Avvalorati da cui prese il nome. Elegante e raffinato (la cavea fu impreziosita dalla pittura di Giuseppe Maria Terreni), conobbe i fasti delle prime assolute di famosi artisti. Altra grande stagione fu quella che s'inaugurò nel 1806 con il Teatro Carlo Lodovico posto in S. Marco. Dedicato al piccolo re del regno d'Etruria, e affrescato dal pittore Luigi Ademollo, ebbe una prima fastosa alla presenza della regina reggente Maria Luisa di Borbone, del figlioletto Carlo Lodovico e dell'intera corte tosco-spagnola. Nel 1842 aprì i battenti il Teatro Rossini, un piccolo ed elegantissimo gioiello, adornato dalle statue di Giovanni Dupré e, cinque anni dopo (1847), gli fece concorrenza il Teatro Leopoldo (che diventerà il Goldoni nel 1859). La storia dell'opera a Livorno è caratterizzata dalla presenza di grandi personaggi: numerosi gli artisti di fama che s'imposero all'attenzione nazionale e internazionale. Una folla di personaggi su cui l'autore indugia con il piacere del ricercatore insaziabile. E il lettore scorre le pagine con la stessa avidità con cui si legge un romanzo avvincente. L'immagine di copertina del volume che riproduce una scena per la Didone abbandonata (1823) ci ricorda che ne fu interprete, presso il Teatro degli Avvalorati, quel Niccola Tacchinardi, tenore livornese dalla sonorosissima voce, a cui è dedicata una via di Livorno. Una testimonianza (fra le molte presenti nel libro) della ricchezza e dell'intensità del tessuto sociale e culturale della nostra città nel suo passato.

Marisa Speranza

 

 Si legge tutto d'un fiato, trattenendo il respiro, l'ultimo poema di Veniero Scarselli "Diletta sposa", quasi tremando nell'intimo più profondo, sapendo che non sempre la morte è concepita come "nostra sora morte corporale". Il tema del tunnel, del distacco -quanta sublime grazia è insita nell'immagine delle labbra della Sposa che sorridono, per prodigio, dal volto della madre, già trapassata, del poeta- quel primo distacco dal seno materno, che preludeva la vita terrena, e questo distacco ultimo dall'effimero della vita materiale. Scarselli è maestro nel toccare fugacemente il tema dell'Esistenza Intermedia, in cui il corpo vorrebbe tornare a ricomporsi nell'Io, mentre è compito della Sposa ricordare all'amato che una soltanto è la vera Luce ad aiutarlo ­ facendo violenza ai propri sentimenti ­ a distaccarsi dall'effimero. Se farai tutto questo per l'amore / che ci ha unito e che adesso ci separa / forse saprò riconoscere / fra le tenebre la luce lontana / ma vera che alla fine del tunnel / si apre in quel mondo di pace / su cui splende senza più accecarela Luce materna di Dio.

Poemetto liberamente tratto dal "Libro tibetano dei morti", Diletta Sposa rifulge di preziosa bellezza e lo Scarselli si conferma all'altezza del suo genio.

Massimiliana De Vecchi

 

 Veniero Scarselli

Diletta Sposa

Edizioni del Cenacolo

 

 Emilio Bonifazi

La Civica Pinacoteca Amedeo Modigliani

Gli anni di Follonica nel mondo dell'arte

Comune di Follonica

 

 Una storia bella e interessante, quella scritta a molte mani su quasi dieci anni di attività di questo polo culturale follonichese. La Pinacoteca racconta se stessa attraverso gli interventi dell'autore, da otto anni Sindaco di Follonica, dei giornalisti Giancarlo Capecchi e David Toschi e del curatore Gregorio Rossi e attraverso un'ampia documentazione fotografica. Il volume, voluto dal Bonifazi ed edito in concomitanza con il termine del suo secondo mandato, spiega lo stretto legame tra il Sindaco e questa importante struttura da lui presa in carico a pochi mesi dalla fondazione e coltivata assieme allo staff del Settore Cultura con intelligenza e affetto, puntando sia sull'importanza della creazione di un polo museale, sia sull'orgoglio di dare alla sua moderna città un ruolo culturale paragonabile a quello dei vicini centri storici e artistici. Senza tediosi dettagli sfilano i manifesti e le locandine di mostre, ricorrenze e celebrazioni di quest'arte esportata prima in Europa e poi fino in America Latina e importata ospitando attraverso un progetto pluriennale la mastodontica collezione Pepi di arte italiana dell'ottocento e del novecento. Alle foto di gruppo, doveroso tributo a chi ha partecipato con il proprio lavoro o solo con la presenza ai successi della Pinacoteca, si alternano ottime composizioni grafiche e pittoriche a costellare il percorso artistico svoltosi attraverso le pubbliche manifestazioni. Di struttura agile e di facile lettura, il volumetto è un interessante riferimento storico anche per i meno appassionati d'arte, pur dando l'impressione di volersi rivolgere a una platea prevalentemente toscana e maremmana. Meriterebbe una buona divulgazione, come Follonica meriterebbe un riferimento preciso come polo artistico nelle guide turistiche della zona e nei siti Internet che non ci risultano adeguatamente aggiornati.

Arturo Molinari

 

 Con questo romanzo dallo stile asciutto e levigato, frutto di un moto appassionato del sentimento, l'autrice disegna in forma epistolare, strettamente autobiografica, un itinerario personale che privilegia i luoghi dell'anima, i percorsi della memoria, gli interrogativi esistenziali cui non è facile dare risposta. L'addio imperfetto è l'espressione del pensiero dell'autrice che porta lontano in un altrove ancora inesplorato, dove però i sentimenti permangono oltre le soglie del finito. Impigliata nella sua rete di amore per il compagno scomparso, Miria ripercorre situazioni ed avvenimenti del proprio vissuto cui la parola innamorata riesce a dare espressione e significato. Lo stile è essenziale, scarno, lapidario, sgranato e alieno da qualsiasi retorica, la tematica quella di sempre: caso-scelta, vita-morte; tuttavia il potere evocativo della parola amore per una prediletta presenza supera il momento difficile della decodificazione e fa collidere all'istante parole e concetti nella loro estrema tensione. Quando l' evocazione dei fatti diventa memoria plastica e consistenza reale, la scrittura si fa ricerca, viaggio e diventa consistente presenza nella dimensione percepita dal soggetto. Si può dire che con Myria è ritornata la parola amore, non già in qualità di schermo o superficie specchiante, né come storia o successione casuale di eventi, ma come mito e unione fra cielo e terra. Vivendo si lasciano tracce, sui muri, sui mobili, sugli oggetti ciò che più mi manca sono le tue risate, il suono delle tue corde e la tua voce ­ dice l'autrice ­ sono i sospiri, le tue dolci mani e i tuoi occhi dilatati nell'amore, ma i gesti rimangono nell'aria e si ricompongono in ogni cosa bella, in ogni giorno che nasce... nell'illusione di rivedere un giorno la stessa luce negli occhi dell'amato. Ma perché si scrive? I motivi sono tanti e i più diversi. Si scrive per nascondere, per spiegare, per guarire, per giocare, per ingannare il tempo, per non morire e non dimenticare. Miria scrive per tutti questi motivi insieme, ma soprattutto, così come appare dalla sua ultima lettera, idealmente indirizzata al marito scomparso, per navigare nell'eterno e plasmare una forma che forse sopravviverà nel tempo: se non fosse accaduto, se quel primo giugno non ti avessi dato un addio così imperfetto, adesso non ti avrei scritto niente. Non avrei ricordato. Dall'averti perso ho proprio capito che proprio perché ti amo tanto profondamente dovrò imparare ad amarti ancora... dovrò tornare sul sentiero delle possibilità dove rimparerò ad amare la vita perché altrimenti non riuscirò ad aiutare me stessa né il nostro amore. E Myria ha capito il grande messaggio, una lezione dura che non consente tempi vuoti, né anni sabbatici, ma setaccia la granulosità della morte dentro la vita e viceversa. Perché dove c'è una, c'è inevitabilmente anche l'altra: però accanto alle due grandi rivali vive Mmemosine che fa del cielo e della terra un involucro solo con una sola anima e un'identità comune, e questo Miria lo sa.

Giuliana Matthieu

 Miria Cappugi

L'addio imperfetto

(Andrea)

Ibiskos Editrice 2004

 

 

 Antologia

Autori in cammino verso la luce

Secondo Concorso Internazionale

Poetico Musicale 2002

Tipografia Di Stefano

Alessandria

 

 

 Una testimonianza importante questa antologia, una dimostrazione che l'arte unisce, lima le differenze, esalta gli aspetti comuni, avvicina. Per quanto vari siano l'aspetto umano, l'ambiente, le abitudini, la parte più intima di ognuno di noi: l'anima ­ soprattutto se accesa dalla fiaccola dell'arte ­ riesce a farsi portavoce di sentimenti ed emozioni condivisibili. Arte nella sua espressione più varia, nei suoi molteplici aspetti, ma riconducibili ad un'unica necessità: far partecipi gli altri di un frammento di sé. È questo lo spirito che ha animato il concorso internazionale poetico musicale: ognuno dei partecipanti ha dato il proprio variegato contributo, senza nulla togliere all'unità dell'insieme. Tante piccole fiaccole che hanno costellato il cammino verso la luce, titolo significativo per l'antologia e per il percorso spirituale di ciascun artista, perché ogni singola produzione, ogni verso, ogni nota corrisponde ad una ricerca interiore, alla volontà di salvare importanti valori e affidarli alle reti dell'espressione artistica per opporsi al materialismo imperante o, ancor peggio, al nulla. Questo l'intento di chi ha dato vita ad una manifestazione importante, giovane, ma con tutte le premesse per crescere, grazie alla volontà degli organizzatori, della giuria letteraria e musicale e, naturalmente, di quanti hanno contribuito ad illuminare il cammino, senza i quali non ci sarebbe stata alcuna iniziativa. De la musique avant toute chose scriveva il grande Paul Verlaine, per il quale la musicalità del verso era caratteristica imprescindibile per fare poesia, quintessenza stessa della poesia. Aver assunto, quindi, il binomio poesia­musica come leit motiv di un concorso, per di più, internazionale, significa apertura all'arte senza rigide barriere o distinzioni, al bello in qualsiasi forma si manifesti, a gocce d'anima fruibili da più canali contemporaneamente, un trionfo della sinestesia. Il suono parla alle orecchie e all'anima indipendentemente dalla lingua in cui esso è espresso, al di là del suo significato, quindi: è questo un importante aspetto di avvicinamento all'altro, al diverso che non è, poi, che un aspetto meno conosciuto di noi stessi. Non è indispensabile il verso per fare poesia, lo hanno dimostrato i brani in prosa dell'antologia, ricchi di sensazioni e vissuto, veicolanti sentimento non meno delle altre espressioni artistiche. Un plauso finale, ma non ultimo, per gli autori in cammino verso la luce e per tutti coloro che hanno reso possibile ciò: il modo migliore per gridare pace!

Silvia Frigenti

 

 

 In prima battuta colpisce la perfezione formale del volume, che fa pregio allo stampatore e remunera i numerosi sponsor nel loro gratificare tante persone colte, specie appartenenti a generazioni vicine a quella dell'autore e quindi nutrite in contiguità di humus. Illuminati dalle autorevoli citazioni di Màrai e Kundera, è la testimonianza dell'introduttore Antonio Di Florio a darci la misura umana e professionale dell'autore, tale da convincerci che avremmo fatto una lettura linda quanto pregnante, capace di coinvolgerci e, perché no, di farci nuovamente riflettere e dibattere con gli occhiali del presente su un passato affatto lontano in quanto, a dirla franca, mi sembra talvolta indulgiamo più del lecito a fare la "storia" sul temporale di ieri mattina. Allora gli incontri, le implicazioni culturali, le impressioni di Lombardi, di cui acutamente scrive Eugenio Garin nella nota introduttiva, non ci conducono alle pur significanti lapidi sulla collina di Spoon River, ma ad un palcoscenico di ben 434 personaggi (ossia persone), magici se addirittura hanno permesso ad un ragazzo come me di aprire di nuovo gli occhi innamorati sulla vetrina di un libraio dove troneggiavano i Fratelli Rupe di Repaci, che non gli fu dato di acquistare.

Brunello Mannini

 Giovanni Lombardi

Agenda d'incontri

Ed. Polistampa

Firenze 2002

 

 

 

 

 

 Marzo 2004

Settembre 2004