Recensioni Novembre 2009

 

 

 

 

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Elio Andriuoli

Le vie della saggezza

De Ferrari, 2009

Le vie della saggezza sono quelle che Elio Andriuoli percorre sui diversi piani individuali di un’ampia sinfonia, attraverso i quattro movimenti dall’introduzione dell’allegro allo scherzo finale. La raccolta infatti si apre nella serenità di un piacevole convivio fra vecchi amici che dirada le ombre della sera imminente: “È dolce, amici, in questo chiaro giorno / trovarci insieme per dire parole / antiche, per confondere i pensieri / e i sogni, per scaldarci / il petto al suono delle nostre voci. / Abbiamo attraversato la foresta / degli anni, abbiamo turbini e tempeste / superato a fatica e vinto il gelo / che lungamente ci ha insidiati /.../ S’accendono gli occhi di un sorriso / che avevamo smarrito da millenni / e rinasce nei cuori la speranza / di approdi eterni, / mentre avanza lentissima la sera (Approdi eterni). La dovizia del presente che si costruisce sui valori, anche letterari, del passato, rinnovandoli senza cancellarli, ritorna nella composizione conclusiva: “Se ritorni alla vita, / emergendo dagli incubi notturni, / più bello il mondo a te viene e una festa / sono le usate apparenze: uno specchio, / un libro, un volto, una nube. Rinasci / a più sereni pensieri e gli affanni / tuoi d’ogni giorno si fanno men grevi” (Risveglio). La tonalità delle due sezioni, che è la stessa, si ritrova in tutta l’opera, attraverso riprese, ampliamenti, variazioni, che culminano nella metaforica poesia eponima del titolo, esaltazione dell’impegno, della fatica, della dedizione necessarie per raggiungere il compenso della vetta: “Ma se in alto giungi, / dove lo sguardo domina e di cielo / si tinge, nulla eguaglia lo splendore” (Le vie della saggezza). Come in tutta la produzione di Elio Andriuoli, è presente l’insegnamento di Dante, non tanto nel testo a lui dedicato o nelle più o meno criptate citazioni, ma nella aspirazione alla divina eternità. E il percorso è anche segnato dalla lezione ammaestratrice e ammonitrice della Bibbia: “Non seppi far fruttare i miei talenti” (Consuntivo). Nelle sezioni centrali ritornano le impressioni dei viaggi, che l’autore compie sempre numerosi con la cara compagna, mai fine a se stessi, ma sempre occasione di considerazioni e meditazioni, come in Da Scilla, omaggio alla bellezza della natura e al fascino del mare. Permane il richiamo delle opere d’arte, con l’attrazione da sempre esercitata, per esempio nelle Edicole delle Madonne. L’arte e l’ambiente si fondono in Dalla tomba dei leopardi a Tarquinia in ambigua misteriosità: “L’atmosfera è di gioia, ma v’è qualcosa / che inquieta e turba gli animi: le mani / sono levate in cenni misteriosi. / Il banchetto continua da millenni, / rinnovando il suo incanto inconsapevole. / Ogni traccia si è persa dei defunti / il cui sonno pesante confortava. / Il nome ne ignoriamo ed i pensieri...”. Ma l’adagio più intenso ed estenuante, che ricorda Albinoni, è la dichiarazione di poetica che pervade tutta l’opera e la vita dell’autore: “Sempre il poeta legherà il messaggio / dei suoi versi a quelli che verranno / dopo di lui nel volgere degli anni”. Con consapevolezza priva di presunzione è formulata l’affermazione: “Catturare il tempo / soltanto all’arte è dato” (Messaggio). La prospettiva si apre a tutte le arti: “La gioia di un bel verso ti compensa / d’infinite amarezze. Così un volto / ben disegnato l’animo asserena / e dona pace una maliosa musica. / Sempre l’arte rallegra e dà conforto” (Un verso). “Hai mostrato i sentieri della gioia / a chi era curvo sopra il suo cammino” (A Wolfang Amadeus Mozart), canta l’autore sentendosi in sintonia con il musicista, attraverso il particolare ritmo che ottiene con il calibrato incastro dei suoi endecasillabi. Il poeta è come un novello Adamo, che impone il nome non alle cose, ma a quanto c’è oltre esse. Così è anche possibile creare nuovi miti, come Nelle grotte del tempo; ma se “si fa sempre più prossimo l’Incontro”, “Il fiore muore, ma nasce il suo frutto”, e se “si fa tarda la mano”, “l’anima non cede”. Quando ritornano i versi cari nella giovinezza, “fulsere quondam candidi tibi soles”, ancora “di antichi fuochi la vita si accende”. È il messaggio di fiducia con cui Andriuoli ha vinto nel 2007 il premio ligure Anthia

Liana De Luca

 

Non ci sono molti dubbi né insorgono titubanze quando si inizia a leggere i versi di Adriano Bottarelli, pittore-poeta recentemente scomparso. Composizioni brevissime le sue, quasi rarefatte nel magico alone della sera, quando le incertezze e i dubbi del giorno sembrano affogare nella notte lunga. Rapidi quanto sintetici i suoi versi che alternano “le carezze di sole tra le foglie degli aceri/umidi di nebbie,” e “slanci di amorosi gabbiani che vagano oltre il muro delle ombre lunghe”, ai “brandelli di sogni sotto la bianca fiaccola della luna, nella carezza della sera”. È dunque sempre l’atmosfera serotina a soddisfare la voglia di poesia del nostro, unitamente all’espressione di delicato amore verso la compagna di cui legge ogni battito di ciglia e che “sa donare – dice – amorosi impulsi/quasi a celebrare un mito”. Chiara quindi la volontà dell’autore in tutte le liriche raccolte in questa silloge per l’affettuosa sollecitudine della moglie di farsi intendere: Per quello che è, un uomo pieno di delicati sentimenti e voglia di cantare il bello nel rispetto della natura di cui raccoglie colori e profumi. Non sorgono dubbi nel lettore sulla sua posizione naturalistica: lui è ciò che natura vuole che sia con quel respiro necessario per continuare ad essere e cantare in sintonia con un sentimento di eterna riconoscenza verso un creatore che si manifesta attraverso “i colori dell’erba, nell’iride azzurra del lago che si dondola ai refoli di vento”. La natura vive e ne percepiamo il gradevole respiro “sulla riva degli olivi dal colore di malva”, “tra le voci di conchiglie d’acqua” di cui quasi ci sembra di respirare l’essenza. In questa fusione vita-natura di cui mai intravede l’inganno e di cui conosce ogni sfumatura di colore, anche nell’ora del ripensamento: “Così è trascorsa la mia stagione a colorire di sogni il canto dei ricordi”, si alza la sua voce affettuosamente innamorata. La sua poesia come direbbe il poeta e critico Mario Conti, è musica e pittura insieme e senza scomodare oltre critici e conoscitori di versi, si può tranquillamente affermare che Bottarelli sia soltanto se stesso, per quella visione serena di un mondo creato a misura d’uomo:”Vasti prati stesi all’infinito”, “cespugli di sorbo/ dove cresceva di vivida luce/ il papavero,”calici di mimose /nel riso di luna /fra i rami argentei degli ulivi”. La sua cifra poetica è quella della brevità corposa, maturata in seno alla natura di cui il nostro ha ripercorso con la penna e il pennello la densità di curve e linee. Nella concisione dei suoi versi così come nelle sue pennellate rapide e decise si legge sempre il desiderio di essere compreso anche in un mondo pieno di ingannevoli richiami, sollecitazioni perverse, ben lontano dalle sue idilliache interpretazioni. Ma nell’ombra della sera il suo canto s’innalza vigoroso e dolce, rasserenante ed eterno, perché la bellezza non potrà mai avere fine. Poesia quale immagine e parola, perché la parola sapientemente usata, è vita.

Giuliana Matthieu

Adriano Bottarelli

Nel gioco della sera

Ibiskos Ulivieri

 

Vinicio Sguazzi

Suvereto, I conti di Suvereto

e gli Aldobrandeschi in Val di Cornia

e in Maremma

La Bancarella Ed. Piombino 2009

Non mi si tacci di cortigianeria regionale toscana se affermo che questa recentissima opera di Vinicio Sguazzi rivela ancora una volta e in misura congrua, la di lui consapevole e motivata passione per la storia “antica”, nel caso legata al vissuto di un Suvereto risalente a molti secoli fa e collegati strettamente all’esistenza della mitica Populonia. Fortunatamente ho potuto gustare la narrazione storica non solo da semplice lettore ma anche senza dimenticare quelle fatiche da me sostenute negli archivi per informarmi direttamente circa eventi del passato verificatisi nella mia città nativa (Livorno). E, guarda caso, disegnatore e pittore, non ho potuto fare a meno di congratularmi con le gradevoli illustrazioni e disegni esplicativi realizzati da Sguazzi, capaci di apparentarsi al testo e abbellirne la veste. Purtroppo non è in questa sede che posso esprimermi adeguatamente sui valori del libro, ma non voglio esimermi almeno da evidenziare che il dichiarato scopo, il più importante cui tende Sguazzi, a parte quello di mantenere vivo nei concittadini il ricordo delle loro origini, riguarda la possibilità di convincere i più giovani a conoscere la storia, cominciando da quella del proprio paese per passare anche a quella di altri periodi e di altri popoli. Di fronte alla perplessità giovanile circa l’utilità di studiare la storia, specie se di un passato lontano, Sguazzi sceglie uno scritto di Fabrizio Polacco, che leggerete nella pagina del congedo.

Brunello Manni

 

Luglio 2009

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