Recensioni Luglio 2009

 

 

 

 

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Antonia Izzi Rufo

Stralci di vita

MEF L'Autore Libri Firenze

 I luoghi della memoria sono sempre visibili e giornalmente ci riempiamo di loro, della loro inconsistente trama, della loro delicata essenza. Il futuro si perde e si disperde nel vorticoso mistero dei giorni che verranno, di cui non si sa,di cui fortunatamente non ci è dato sapere, così la pena del vivere quotidiano si scioglie soltanto nell’atmosfera nebulosa del nostro passato dove le esperienze depurate e filtrate fanno da cemento per costruire ancora. Nascono così i paesaggi della memoria imprendibili quanto essenziali e talvolta dolorosi, icone che tappezzano ogni angolo del nostro intus. Così diventano concreti i tempi dell’infanzia, dei giochi, della raccolta di asparagi, more e noci,delle corse sulla strada bianca,delle pupe di pezza, delle spannocchiature, vendemmie, balli sull’aia, pellegrinaggi. Sicuramente una razza di giganti quella cui appartiene l’autrice, per coraggio e volontà, desiderio di procedere e migliorare, una razza di giganti di cui oggi si è quasi persa la matrice. Non sono né eclatanti né eccezionali i suoi ricordi e per la maggior parte dei giovani di oggi neppure degni di essere incollati sul canovaccio della memoria, ma per le generazioni che hanno vissuto tali esperienze e si sono nutriti del suo stesso pane: una visita allo zoo, la scoperta di animali esotici, la condivisione di sentimenti semplici, i riti della schiusa delle uova, le sensazioni irripetibili di sere in famiglia, le nuvole di fumo di un camino che non tira e...i grandi forni, la batteria di pentole di rame, le favole della nonna, il vento che fischia oltre le mura della casa, sono icone di cemento. Imprendibili quanto vere. E allora la nostalgia prende e tace dentro la voglia di gridare che non può essere tutto finito, che non può essere tutto dimenticato. Sono quadri staccati, qualche commentatore al testo ha già parlato di stanze separate, che si esauriscono ognuno nel proprio letto, e tuttavia sono intensamente legati l’uno all’altro, condotti per mano dal suo stile scabro, scarno, essenziale, concessioni alla retorica mai. L’autrice nei suoi stralci di vita indubbiamente si compiace e prova un intimo e sofferto piacere del ricordo, quasi affondare nel passato diventi ragione di vita. Ma è soltanto nell’ultima tappa, quella della vecchiaia, la più singolare delle età dell’uomo che la scrittrice ora sta percorrendo dove si intuisce quel leggero turbamento che assale ognuno di noi nell’attesa del dopo di cui non si sa. E tutto il piccolo libro scansionato sui ritmi della giovinezza o del suo ricordo acquista un colore diverso, dilavato e tenue e non già più ricordo, ma futuro di cui non si sa. E del suo essere avanti negli anni cos’altro dice? Riconosce che è vero, lo dicono le rughe nel viso, gli occhi spenti, la mancanza di entusiasmi, ma lo spirito si ribella e non condivide.”Tu non sei vecchia se provi emozioni, se ami, se sogni, se desideri amore”. Così i suoi momenti neri non eccedono, né si mostrano tutti i giorni: Non si può essere vecchi se si ha voglia di vivere e ridere e si crede nei propri ideali e si ha voglia di realizzarli. Giuliana Matthieu

 

L’autore, classe 1971, laureato in Scienze politiche, propone otto racconti per lo più ispirati da situazioni e accadimenti reali in maggioranza variamente angosciosi, specie per i giovani, ma dei quali i lettori sono già ampiamente informati in virtù del martellamento operato da stampa, televisione e altri canali. Pertanto nessuna novità apprenderebbero i lettori se dai predetti eventi l’autore non avesse trovato maniera di proporli camuffati in racconti surreali e divertenti per vis comica, al punto da farne una novità che alla fine, spogliati della finzione, producono ironicamente una risonanza più efficace e duratura di quanto consenta l’attimo fuggente proprio ai mass-media. Detto questo va ulteriormente evidenziata la finezza e fair play dello scrittore per capacità inventiva e temperie di humour, doti che senza offendere gli consentono tanto di rendere normali personaggi che si comportano ribaltando quanto vorrebbe la logica comune, quasi di trattasse di extraterresti, e altrettanto ridurne altri simili a soggetti che ci richiamano, sebbene non influenti, alle “Metamorfosi” di Kafka e/o alle “Cosmicomiche di Calvino”.                                                 Brunello Mannini

Marcellino Lombardi

Sul filo di Lama

Editrice Nuovi Autori

 

Dario Mannari

Fuori da dentro

Il Filo

Classe 1978, Mannari si accredita con una originalità espressiva postmoderna che già propongono il titolo e la figurazione in prima copertina. Una lettura che inizialmente potrà forse apparire ardua a un comune lettore che si limiti alla tradizione italiana anche se questa annovera l’esempio radicale di un Dino Campana scomparso nel 1932. Ma da quel tempo al 2002, al Muro dei condannati, dei disperati contro il quale Dario ventiquattrenne rischia di fracassarsi al grido che non gli importa dei soldi ma fare parte degli amati e liberarsi della monotonia che lo uccide, sono trascorsi 14 lustri, le nostre neo-avanguardie poetiche in affanno, sfiduciate ormai le certezze certificate che prima ci avevano reso ottimisti e tranquillati dalle magnifiche sorti e progressive peraltro strapazzate da Leopardi. Un poeta che qualche insegnante di formazione ottocentesca reputò pessimista solo perché non aitante e non amato dalle donne. In conclusione sostiene Dario che se la vita è portatrice di un demonio che ci inietta troppo odio, saremo ricchi solo partecipando e amando anche chi ci è indisponente, laddove il potere e l’avere ci rendono poveri. Se i problemi quotidiani, il potere del denaro, il credo del lavoro per forza, il giudizio altrui, le leggi imponenti, la società cristiana apostolica sommergono i desideri del cuore facendo rimbalzare nel corpo l’anima come un topolino in un barattolo, alla fine corpo e anima accoppiati rimarranno vittoriosi. L’augurio, oltre di pubblicare presto una seconda raccolta di poesie con la stessa verve, è che la sua previsione si avveri al più presto.                                                  Brunello Mannini

 

Saga o epopea familiare quella raccontata in versi e prosa da Antonella Dorigotti con uno stile altalenante fra fiaba e realtà. Un compromesso ben giocato fra la malia delle sensazioni provate sull’epidermide nella riproposta dei profumi,rumori, voci sottratti al suo mondo di bambina e il serrato controllo della ragione che, per bocca di una veridicità storica, si fa carico dei ricordi del passato. Un passato che per la Dorigotti è fatto di “penombre misteriose,antichi portoni, petali immacolati, miriadi di gocce di rugiada, affettuosi scherzi,antiche gustose materne confetture”, ma anche di “poesie di Machado lette a lume di candela, vagabondaggi per Berlino e concerti antichi del paese di Don Chisciotte”. Ben chiara allora la sua posizione letteraria che si nutre sì della fiaba, dove la ripetizione delle parole: “camminano camminano, sognano sognano” fa capo alla sua natura romantica cresciuta all’ombra di leggende (non dimentichiamo che la Dorigotti è figlia del Trentino) ma anche della sua robusta struttura mentale nutrita da anni di studio e ricerca. E questa sua quadratura mentale che si alterna fra ripensamenti latini, parole in francese, versi inglesi, connota la sua doppia natura: libera per un verso, attratta dal gioco della fantasia rubata al mondo della favola, e quadrata per l’altro per la sua talvolta anche troppo dichiarata sapientia letteraria. Ed è proprio questa contaminatio fra senso e ragione, cuore e intelligenza a rendere la sua opera poetica estremamente duttile e variegata. Ma nell’appropriarsi di due diversi mondi che le appartengono entrambi, la Dorigotti macina i sentimenti e facendo leva sugli stessi talvolta ne limita la freschezza. Nella poesia”Il sabba e il noce”, ad esempio, il mescolare dell’antico e del moderno “mi piace immaginare un sabba sotto un noce con la luna piena e sorridente” esplicita, oltre al suo attaccamento a un mondo romantico (luna piena e sorridente), anche una piena conoscenza del mondo classico. Allora le atmosfere sognate di stupiti paesaggi “lago di acque tremule cobalto con esili eleganti ninfee gialle/l’ultimo sole per una ginestra circondata da amene farfalle” si mescolano, al “laudate dominum”, alle “suggestioni di anghe’ lon”, a “Euridice e Orfeo per prati e boschi” ai parti cioè di una mente satura di classicismo. Tuttavia in questa voluta contaminatio sempre forte la capacità raziocinante. Si direbbe che niente sia lasciato al caso in questo poemetto, che in fondo è l’esaltazione dei sentimenti familiari: presenze genitoriali, fratelli, amici, ma tutto controllato e distribuito secondo un piano logico. E tuttavia la fantasia ha il potere di rovesciare l’impalcatura della logica e di avventarsi sui ricordi spodestandoli dal loro angolo per “camminare camminare, sognare sognare, andare andare (come dice l’autrice) ancora per molti molti anni”. Ed in questo gioco di ripetizioni volute che l’autrice scopre anche l’angolo bambino della sua personalità, che vuole giocare ancora.                Giuliana Matthieu

Antonella Dorigotti

Poemetto familiare

Ibiskos Ulivieri

 

Aprile 2009

Novembre 2009