Recensioni Dicembre 2003

 

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 Giota Gurdomichali

Erotico

N. Ionia editrice, Atene

tr. it. di K. M. Stamatis,

s. i. p., pp. 40

 

 In questa breve raccolta o meglio, epigrammi legati l'un l'altro di poesia d'amore che il grecista K.M. Stamatis ha tradotto più che egregiamente dal greco (ERWTIKO è il titolo originale), mantenendo il testo originale onde il lettore può rendersi conto la differenza tra agape ed eros, che han concetti ben diversi. Giota Gurdomichali ha saputo ben illuminare, d'illuminazione infatti si tratta, il passaggio da Agape, l'amore non allo stadio di voluttà, ad Eros vero e proprio. Come in un poema d'Esiodo ma con sensibiltà moderna, il poeta vede l'amore come una luce, una scintilla meglio che troviamo anche nel grande mistico Meister Eckhart, che illumina il suo viatico sino ad allora tristo.Ritornando in medias res, da qui il"daimon" divino di Agape che pungola G. Gurdomichali a cantare con voce più forte e suadente il dio Eros in quel deserto ora non più amaro poiché tutto sotto la prospettiva di Amore, un lato per la prima volta conosciuto, e con tensione e pregno di nuove opportunità:"e diventi ­ dice il poeta, l'estro della creazione" (p. 13),

(Enrico Marco Cipollini)

 

 Lessico, dialetto, vernacolo: Luciano Bezzini, tenendo bene i piedi per terra, ha avvertito gli ignari, con il sottotitolo Vocaboli, locuzioni, modi di dire di ieri e di oggi, che il "lessico" non è un pesce d'acqua dolce ma un vocabolario casereccio, nel caso castagnetano, che niente ha da spartire con gli odierni esuberanti "Occhei" sparati dalle voci nelle orecchie dei telefonini. A parte la battuta, che nemmeno suonerà regressista quando si pensi (per esempio) al ricorrente ricettario Kitsch utilizzato dal diseur di turno per la gioia dei tele-vedenti-udenti, la sezione del libro dedicata al Lessico può, a suo modo, associarsi ad un intrattenimento popolarcabarettistico da gustare sfogliando una pagina dopo l'altra al riparo dei purtroppo familiari frastuoni artificiali che talora trasformano la sordità in un privilegio. Si distenderà la mente del lettore assaporando questo modesto "universo" composto da innumerevoli e variegati modi di dire, nostalgico rendez vous capace di restituire il presente ed un passato talora più lontano di quanto a prima vista non sembra eppure resistente all'ineluttabile erosione attuata dall'incipit del nuovo.

(Brunello Mannini )

 Luciano Bezzini

Lessico

Castagnetano

Bandecchi & Vivaldi

Pontedera 2003

 

 Pietro Nigro

Altri versi sparsi

(1963-2000)

Casa Editrice Menna

Avellino

  Pietro Nigro ha intitolato questa sua silloge Altri versi sparsi, ad indicare che le tematiche sono molteplici, sebbene riconducibili ad alcuni filoni principali. Sulla terra fredda / gemono le foglie abbandonate / dall'arido ramo in letargo / al desiderio di sete / in un ultima speranza senza esito, e ancora: Autunno più soave tu fosti d'ogni primavera / ma non pensai che in te / non volano le rondini / né s'aprono le rose. Il senso di decadenza che si respira in questi versi è soave, come sottolinea il poeta, ma lo scorrere inesorabile del tempo non ammette soste: all'autunno segue immancabilmente l'inverno. La primavera dell'anima è, quindi, affidata al ricordo: Cogli l'attimo allora / e riponilo con tenera cura / nel più sensibile angolo dell'anima / e quando la notte ti porterà / la malinconia di inumani silenzi / richiamalo alla mente. Il ricordo, appunto, fa rivivere l'intensità di una passione crescente / sulla sabbia ombrata. Né mancano puntuali riferimenti al mondo attuale, ad anime che si sono perse per inseguire chimere mendaci: Vi vedo indifferenti, ingordi di successo, / sbranati dalle luci di uno studio TV / fatti a pezzi poltiglia di carne buttata come pasto giornaliero / di uno zoo umano

 

(Silvia Frigenti)

 

 La visione nitida e colorata di Porticciolo di Santo Spirito dove Franco Calabrese visse la prima giovinezza apre il suo ultimo libro Il tempo di gelsomini. Per viaggiare nel suo mondo bisogna in certo qual modo essere simili a lui: delicati e leggeri, sempre tesi verso l'alto nel desiderio di tracciare con le parole una mappa della propria vita. E questo non già per presunzione o eccesso di protagonismo, ma per quello schietto senso diaristico che in fondo ognuno di noi matura dentro. Calabrese si guarda dall'alto. Osserva la sua umanità che si è formata attraverso i giorni, i tanti giorni di cui racconta con un linguaggio che non assurge mai a toni trionfalistici ma rispecchia sempre la realtà della vita densa di ostacoli e cedimenti, battaglie vinte e perse nel perseguimento del suo ideale di scrittore e si propone alla letturatura con accenti che coinvolgono e lasciano un segno. Una strada cosparsa di spine in un'Italia rissosa, meschina, superficiale e distratta dove come ebbe a dire argutamente Hemingway una metà scrive e l'altra metà non legge, sulla quale Calabrese inizia la sua corsa ad ostacoli ...

(Giuliana Matthieu)

 Franco Calabrese

Il tempo

dei gelsomini

Lorenzo Editore

 

 

 

 

 Settembre 2003

Marzo 2004