Recensioni Marzo 2005

 

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Recensioni

Juri Bevilacqua
Il diversivo
Ibiskos di A. Ulivieri
2004

 

 

 

 Tutti gli ingredienti necessari a dare un piglio dinamico e moderno a un romanzo poliziesco. Yuri Bevilacqua con Il Diversivo un lungo racconto di oltre 200 pagine affronta il tema della corruzione, delle problematiche di una società in crisi costruita, spesso almeno nelle alte sfere, sulla menzogna, sul denaro e sulla prevaricazione dei deboli. Ma questo lo fa usando i toni scattanti del film d’azione dietro i cui canoni maschera la sua comprensibile pena, il suo comprensibile disgusto per l’assenza dei valori e il seppellimento della morale. Una fiction letteraria che a tratti, perché sostenuta molto bene dalla ars scribendi dell’autore,acquista i toni della reality show, oggi di gran moda. Del resto televisione e cinema ci hanno messo in mano alla quotidiana brutalità dei tempi, senza neppure più usare paraventi di buon gusto o maschere di pietà. Tutto evidenziato, sottolineato diremmo, quasi con la matita rossa e dichiarato agli occhi dello spettatore. Morte in diretta, linciaggi, stupri, tagli di testa, sequestri, violenze, omicidi e oltre. E allora anche la letteratura ha seguito questo filone, questa attenta e perspicace maestra di vita allineandosi sulle sue tracce. E questo non già per ottenere effetti di share o di audience come per la televisione, ma perché la letteratura deve necessariamente caricarsi dei malanni del tempo e portare a galla certi aggrovigliamenti per collocarli nel giusto contesto storico. Gli argomenti non mancano: droga, violenza, incontri-scontri del mondo esterno. Così l’autore guarda e scrive tenendosi tuttavia a debita distanza dalla realtà percepita, limitando le sue emozioni per non farsi troppo coinvolgere. Rabbia, sgomento devono essere sorvegliati dalla capacità critica della mente perché in altro modo ogni racconto rischierebbe la penalizzazione del romanzo d’appendice assumendone i lacrimevoli aspetti oppure, se troppo sorvegliato dalla mente, banalizzebbe nella cronaca giornalistica  Una giusta misura dunque che a nostro avviso è stato il pernio su cui ha mosso la sua avventura letteraria: rimanere fuori dal racconto raccontato e nello stesso tempo calarvisi per cercare di rappresentare con la maggior veridicità possibile i tanti personaggi toccandoli da vicino senza farsi toccare. Abilità non indifferente dello scrittore, che per quanto alla sua opera prima, senza dubbio promette bene. La storia è quella di un qualunque telegiornale. Si apre sul palcoscenico festoso di una nave da crociera, l’Albatros, al suo primo viaggio inaugurale. Nulla fa prevedere le tante vicende che si innerveranno e matureranno sopra una così tranquilla apertura di palcoscenico. Ma dietro la serenità dei 4500 passeggeri tutti pronti a prendere il sole e a cogliere della vita gli aspetti migliori, ecco l’altro aspetto del reale, quello al quale non si crede fino a quando non ci capita. Un improvviso scoppio nella stiva D 7 fa scattare l’azione, improvviso arresto di questa placida avventura, rapido intervento della squadra operativa dell’Interpol. Nella strenua ricerca della causa dello scoppio il muoversi intelligente dell’ispettore Raoul Castaldi e della sua squadra: una fitta ragnatela di ipotesi, dettagli, ragionamenti alla ricerca della verità. Non mancano i colpi di scena, le immancabili scene d’amore, gli inseguimenti, i sequestri, gli scambi di persona, proprio tutti gli ingredienti necessari a rendere appetibile un giallo in piena regola. Costruzione impeccabile anche se talvolta la capacità narrativa e la voglia di raccontare prendono la mano all’autore che si dilunga in particolari forse eccessivi perdendo di vista il plot. Senza dubbio nell’intenzione dell’autore la ricerca della verità così anche se Il diversivo fi nale a sorpresa ha come ogni romanzo che si rispetti i suoi punti deboli, nel rincorrersi delle vicende, nell’anamnesi accurata dei caratteri, nella descrizione di luoghi e persone, non si può negare che Bevilacqua abbia tratteggiato un percorso, nuovo no, per carità, ma senza dubbio diverso.

Giuliana Matthieu

 

 

 Vero studio etnoantropologico del filologo greco K.M. Stamatis. I santi (dell’isola) di Egina, iniziano con una premessa del perché di quello studio sui santi popolari di Egina, isoletta splendida a sud di Atene ormai conosciuta per le sue bellezze naturali e storiche dai turisti. Alcune recensioni sono apparse in diverse riviste anche in lingua italiana. Il libro è in greco e spero come gli altri venga poi editato anche in lingua italiana ed in lingua inglese. Per curiosità Egina è la “seconda casa” di Stamatis. Si fa presente che il libro è illustrato debitamente da foto e da sacre icone nonché fornito di un indice e da breve bibliografia sia alla fine dei capitoli sia nell’indice generale. Si parte dal protomartire d’Egina S. Crispo (morto nel 50) vissuto sotto Claudio sino a S. Nettario morto nel 1920 a cui son dedicati ben 2 capitoli. I santi d’Egina presi in esame sono oltre a quelli sopra menzionati, S. Giulio, S. Giuliano, Santa Teodora, Santa Teopisti o” fede in Dio”, Santa Anastasia, S. Luca (896/97-953) per entrare nell’epoca moderna con S. Dionigi o Dionisio morto nel 1622 e infine San Nettario deceduto nel 1920 come si è già detto. Sono riprodotti in copia anastatica pagine autografe di San Luca. Buon lavoro di studi demo-antropologici ed etnolgici sempre condotti con rigore scientifico e linearità d’esposizione dallo Stamatis. Ancora un augurio affinché possa procedere nei suoi studi e che si veda finalmente la sua Letteratura del Peloponneso, vol. I in italiano.

Enrico Marco Cipollini

 Kostas Mich. Stamatis
I santi di Egina
Edizioni “Egina”
Atene 

 

 

 Guido Zavanone
L’albero della conoscenza
Genesi Editrice
Torino, 2004

 

 

 “Metafisica” definisce Vico Faggi nella sua prefazione a L’albero della conoscenza, la poesia di Guido Zavanone, con riferimento “a quel tipo di poesia che, oltre a emozioni, visioni, sentimenti, si rivolge e si giova di un elemento riflessivo, in senso lato fiosofi co, che tende ad arricchire il momento strettamente lirico, inserendolo in una sfera noetica che ne accresce la profondità e la risonanza”. Che ciò sia estremamente esatto lo si riscontra sin da una prima lettura di questo libro, nel quale l’assorta meditazione fa da sottofondo ad ogni poesia e dal quale l’ansia di conoscenza affiora ad ogni passo: “Cos’è – domandai – l’invisibile?” (Il traghetto); “Nel silenzio un uccello cantava, / lui forse l’aveva trovato” (Forse la poesia); “Le prime foglie cadono / si posano sulle mie braccia / nude, messaggio / che manda l’Altrove / sillabe del suo linguaggio?” (Presagi); ecc. Quella di Zavanone, come tutta la vera poesia, nasce inoltre da profonde intuizioni sulla vita e sulla morte. Ma in lui tali intuizioni si arricchiscono sovente di originali metafore, come quella del rospo che da una pozzanghera leva un grido disperato al cielo, indifferente alla sua infelicità, che sta a rappresentare l’uomo chiuso nel buio del suo dolore e della sua solitudine (Il rospo); o come quella delle foglie cadute nel fi ume, che stanno a signifi care le parole affidate dal poeta al tempo: “Dall’albero scosso / sono cadute le foglie che l’acqua / del fiume trascina lontano in / multiformi costellazioni. /... / Così / avendo provato il pallido / riflesso del cielo, l’odore / acre del mondo, giacciono sotto una coltre / di fango le intruse parole” (L’albero della conoscenza). Scaturisce da queste pagine un sentimento amaro e dolente della vita, che viene affrontata però con stoica fermezza; un sentimento comunque temperato da una sottile e diffusa ironia che attenua i troppo cupi pensieri. Ne deriva un verseggiare personalissimo, che subito rivela l’autonoma cifra di questo poeta, riscontrabile anche dalla metrica, dato che egli alterna metri classici, come quello della quartina rimata di endecasillabi (Per amore) e del sonetto canonico di quattordici versi (Il linguaggio) o caudato (Dove ti vidi), con un più frequente verso liberamente strutturato e variato, sempre però dotato di una sua interna musica e di un sicuro suo ritmo, da cui trae slancio e misura: “La morte appartiene a noi soli. /. .. / Gli animali / non conoscono la morte, le cose / non conoscono la morte e neppure / gli astri lucenti che si estinguono in cielo / e gl’imperturbabili dei / la conoscono” ( A noi soli ); “Come le castagne / sgusci nell’autunno / l’estate / ti ha risparmiato i suoi dardi” (Come le castagne). Ciò che tuttavia maggiormente emerge da questo libro, come da tutta la produzione poetica di Guido Zavanone, è “l’assenza di Dio”: il “dio assente” (Tracce); il “Dio che si nasconde” ( A Meria ); “l’orecchio disattento del dio” (Notti estive); “nel Cielo che non c’è” (Nel sogno); ecc. Si tratta di un’“assenza” che lascia l’uomo nell’angoscia e in un esilio senza speranza, che lo conduce persino a desiderare il nulla (Cantico delle creature). Una tematica, questa, quanto mai attuale, dato che fu propria di molta poesia del Novecento (si pensi a Montale e a Caproni), e che pone Guido Zavanone tra i poeti più moderni e maggiormente partecipi del loro tempo, i cui problemi egli avverte con acuta sensibilità: il che rende particolarmente interessante e vivo il suo dire.

Elio Andriuoli

 

 Parlare della storia di un porto vuol dire allargare la prospettiva di ricerca all’economia, alla politica, all’attualità. Tutto questo è stato fatto da Maurizio Bettini, con il suo ultimo libro Storia del Porto di Livorno 1949 – 1994, prima uscita delle Edizioni Erasmo, casa editrice della Libreria Gaia Scienza. L’autore è ricercatore al dipartimento di Storia dell’Università di Pisa e consulente per Enti privati e pubblici come la Spil, l’Autorità Portuale, l’Archivio di Stato, laCompagnia Portuali. Fra i suoi precedenti studi ricordiamo quello svolto proprio per la Compagnia Portuali intitolato I lavoratori del porto di Livorno. Dalla ricostruzione al miracolo economico. Raccontaci come nasce il tuo ultimo lavoro. “Sono partito da una sintesi di una ricerca condotta negli anni 2001-2002, su incarico di Nereo Marcucci, all’epoca presidente dell’Autorità Portuale. Questa ricerca mi stimolò ad andare avanti negli studi, incoraggiato anche dalla pubblicazione di alcuni articoli che scrissi su riviste specializzate che raccolsero un buon interesse sul tema”. Dobbiamo considerarlo un libro di storia o di attualità? “Entrambi. La novità di questo testo sta nel aver preso in esame anche un periodo recente e piuttosto  caldo come quello compreso fra gli anni ’80 e ’90, che hanno visto la nascita dei famosi decreti Prandini del ’89 e l’attuale riforma, con la legge del ’94. Dunque, una fase che non possiamo considerare già appartenente alla storia, ma alla quale dobbiamo ancora pensare come attualità”. Quale sono state le fonti del tuo lavoro? Le fonti sono inedite e sono state tratte soprattutto dall’archivio della Capitaneria di Porto e da quello della Compagnia Portuali. Il grande pregio di questo studio è quello di aver spogliato il dibattito da strumentalizzazioni politiche, poiché si è seguito un percorso scientifi co basato su precisa documentazione. Ad esempio, si possono trovare grafi ci relativi ai salari dei lavoratori, agli investimenti, alla struttura delle tariffe di imbarco e sbarco. Altro elemento importante della ricerca è l’aver parlato del porto di Livorno, sempre confrontato all’evoluzione del sistema portuale nazionale, con i suoi limiti e i suoi avanzamenti”. Il libro è scritto con un linguaggio alla portata di tutti, utile quindi a chi lavora nel settore e vuole approfondire il tema, ma anche al comune cittadino che vuole farsi un’opinione sulla più importante realtà economica. La pubblicazione del libro ha destato molto interesse e la dimostrazione è venuta dalla presentazione pubblica alla quale hanno partecipato molte autorità cittadine: il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, l’onorevole Annamaria Biricotti, Nereo Marcucci, Vittorio Cioni ex segretario della Camera del Lavoro  e Claudio Frontiera ex presidente dellaProvincia. Un incontro che ha stimolato un dibattito, anche sulle attuali condizioni dell’Autorità Portuale locale commissariata da mesi, che ha messo in luce come in porto si sia lavorato bene quando, al di là dei meriti individuali, c’è stato accordo fra le parti sociali e condivisione degli obiettivi.

Antonella De Vito

 Maurizio Bettini
Storia del Porto di Livorno
1949-1994
Edizioni Erasmo

 

 

 

 Laura Silvia Battaglia
Per favore non ditelo ai poeti
Ibiskos di A. Ulivieri
2004

 

  A interrompere la noia di un lettore scettico come chi scrive, l’incontro con la prima opera di poesia di Silvia Battaglia è stato l’imprevisto accidente che riavvia la ruota della speranza. È vero che negli scaffali dell’ipermercato la poesia abbonda e non è mai mancata, altrettanto non può dirsi della qualità, che perfino i poeti pregiati possono rischiare un giorno di svelarsi pataccari. Pertanto nell’oggi non si emettano “sentenze” defi nitive nei confronti di “Per favore non ditelo ai poeti” ma neppure tremino i polsi nello scrivere (al computer) del suo solido retroterra culturale, usato come coscienza da conoscenza immunizzante dal pericolo androide; del guado a sceneggiatrice e attrice della propria giovane esistenza poeticamente rivisitata senza indulgenze e narcisismi, nel nome di una sconcertante lucidità d’analisi cui sottopone l’accoglienza dei trascorsi senza rinunciare a motti sarcastici nell’ambito di una caratteriale sincerità e responsabilità morale. Ciò che più conta però è la novità del linguaggio che dà vita alle immagini senza spezzare sottili i fili della tradizione, e noi, metabolizzata che sia l’umana vicenda, godremo sempre dell’armonia dei versi.

Brunello Mannini.

 

 

 Dicembre 2004

Giugno 2005