Recensioni Marzo 2006

 

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Recensioni

Rita Caramma
Nella mia ricca solitudine
Edizioni Il Filo
Roma, 2005

Nell’accezione comune, la solitudine è condizione di mancanza. Mancanza dell’altro, degli altri. Ma se una solitudine è ricca, proprio in questo stato di mancanza può ritrovare la sua pienezza. E forse lo può fare solo raccontandosi, solo spendendo un po’ di parole in forma di dono per gli altri. È il caso di Rita Caramma, giornalista siciliana che, con “Nella mia ricca solitudine”, edito da Il Filo, si impone all’attenzione del lettore per una poesia di rara tensione morale. Chiamerò le cose con il proprio nome senza vergogna, né volgarità: la poetica della Caramma è questa, chiara, senza infingimenti. Anche nei confronti del lettore a cui l’autrice si appella, richiedendone la complicità e insieme la sospensione del giudizio: Se volete fare i moralisti non venite ad ascoltarmi, non parlate con me. Fin dalle prime battute, infatti, il canto della Caramma fa, del tema della solitudine, lo strumento privilegiato per una duplice indagine. Da una parte, la solitudine è la lente d’ingrandimento per sezionare le esistenze sparse nel mondo. Uomini e donne che non sanno dove vanno e perché, immersi in un certo torpore sentimentale, in rapporti usurati dall’attimo, dagli stereotipi, dalle abitudini. La Caramma descrive una varia umanità soddisfatta “da piacere mentale asessuato” e sceglie un trobar clou, uno stile di retaggio ermetico, un’aggettivazione costante, financo eccedente, a sostegno di sostantivi concreti. È nella sezione II, Affetti, che la solitudine eponima inizia ad arricchirsi di figure umane e non, avvertite nella loro unicità, nel loro accadere unico e irripetibile: il padre, la madre, la casa sul mare, le amiche, il corpo femminile. Preludio alla sezione III di quest’opera prima, che si intitola Amori in movimento, dove si avvia la seconda indagine di cui si diceva: la solitudine, adesso, è il microscopio di sé e dell’amore vissuto. È qui che Rita Caramma rivela quando una solitudine è ricca: quando rivela la poesia dell’esistenza. Con una cadenza più piana e musicale – settenari ed endecasillabi, per lo più, come nota Domenico Seminerio nella bella postfazione – la poetessa dipana “liberi pensieri”, trova la tonalità più naturale e le pause più felici per una poesia che si concreta sempre di più sul suo oggetto e sul senso del suo esserci. Essa raggiunge un’equivalenza con la verità quando il dolore si fa muto (Ed io non ho voglia di parlare, stasera); quando, con un luminoso e continuo a scrivere poesie come se lo sapessi fare, questi versi dichiarano il loro spirito sofferto ma invitto.

Laura Silvia Battaglia

 

Questo libro non è nato propriamente con l’intento di fare un’opera letteraria, anche se ha tutto il fascino di una fluente scrittura narrativa, ma è ugualmente un libretto fuori dal comune. E’ il diario di una esperienza straordinaria vissuta per due mesi dalla poetessa Gianna Sallustio come volontaria in una minuscola, remota e poverissima Missione dell’ex Congo belga.. Non so quanta gente a 65 anni d’età avrebbe avuto tale capacità di adattamento ai disagi; ma la nostra Gianna è animata da un genuino, convincente desiderio di aiutare il suo prossimo più bisognoso e sofferente, cosicché anche il lettore più scettico sull’utilità d’ogni aiuto (e forse frenato da una divisione darwiniana della vita) anche tale lettore non può fare a meno di sentirsi trascinato da un umanitario desiderio di imitare questa ribelle scrittrice che vive la parola scritta, ossia ne fa pratica civica. Io ho letto questo libro tutto d’un fiato (cosa che non mi capita spesso a causa della mia pigrizia di lettore) apprezzandone la semplicità e l’immediatezza diaristica di una appassionata scrittura (deliberatamente, per rispetto al contenuto, non voglio parlare di stile letterario) che ha una grande capacità di calare il lettore – vinto e convinto – dentro ai fatti raccontati. Tutto ruota intorno alla vocazione carismatica di un vecchio infaticabile sacerdote salesiano, Padre Tiziano Sofia che non esiterei a definire eroico, e a pochi personaggi-aiutanti, di colore, tutti ben delineati dalla nostra volontaria-cuoca-infermiera-lavandaia fattasi per l’occasione giornalista, i quali animano in vario modo la vita nella Missione. L’autrice riesce a farci condividere mentalmente tutti i disagi e i problemi che quotidianamente incontra, mettendo a nudo e talvolta combattendo anche l’ignavia e la corruzione che allignano fra le autorità religiose e politiche; ho un po’ sorriso soltanto davanti al ribrezzo tutto femminile per topi, ragni ed altri insetti. Nella nostra società consumistica superlavata e superdisinfettata questa è una lettura bella ed edificante che consiglio a tutti. Gianna Sallustio ha saputo comunicare con animo di Poeta la sua straordinaria esperienza in un libro avvincente e convincente proprio perché suona autentico e veritiero. Dovrebbe essere distribuito fra le famiglie, le chiese e gli ospedali dovunque insomma via sia speranza di trovare persone non omogeneizzate dalla TV delle isole famose

Veniero Scarselli

Gianna Sallustio
Sango Mondéle (Padre Bianco)
Edizioni La Meridiana
Molfetta, 2005

 

Cesy Bianchi Petitti
Attimi
Editasca, Livorno

E sono proprio attimi le emozioni sopite e i ricordi d’infanzia nei quali spesso ci rifugiamo, per quel vago richiamo proustiano che c’è in ognuno di noi. Il mestiere di vivere mette a dura prova sentimenti e ricordi, logora il nostro fragile interiore dove talvolta la voce del fanciullino intristito non ha il coraggio di farsi udire. Ma la poetessa vince questa ritrosia, questo malessere esistenziale e si lascia andare ai suoi attimi in cui coglie con delicato sentire il fluido benefico del passato. Essenze, colori, sensazioni olfattive e uditive che si mescolano al sapore della marmellata rubata, e si lasciano convincere ad uscire allo scoperto presi per mano dalla tenerezza dell’autrice. Così l’autrice sulla scia di questi colori, di queste fragranze ricava informazioni che poi legge piano piano gustandone il piacere sottile che talvolta sa di pianto. Cos’è il tempo se non l’anello che unisce all’invisibile filo la carne e l’anima/bisbigliare d’avorio alla preghiera senza fine. E ancora: Profumo di pioggia riallaccia dialoghi/annulla il tempo/tra dimensioni sconosciute. E allora la smania golosa di riassaporare la caramella mista all’odore del tabacco sottratta alle tasche di Nonna Rondine esce a tutto tondo, quasi psicanalitica richiesta di un test olfattivo evocatore di sensazioni legate all’infanzia, al tempo maturato fra nenie di rosari e capelli stretti d’inverno nella pezzola nera. Bisogno di carezze, necessità di riappropriarsi di un tempo passato di cui l’ autrice come del resto tutti noi, senza bisogno di dichiararlo, cogliamo intatta l’ingenua fragranza e tuttavia la poetessa non dimentica gli occhi grandi della speranza di Spomenka,/ la pena delle case abbandonate a far tetto sulle macerie, e l’amaro sorriso degli ultimi: rondini a cerchio nella fame della notte/ divorano secoli di amarezze/con il latte caldo di cioccolata. Ma la poetessa per niente vinta dalla facile retorica di altrettanto facile poesia rimane sobria, pervasa da quel contenuto compiacimento che distingue chi sa effettivamente leggere dentro. E si fa largo nel mondo dei poeti con quella sua dolcezza mai disgiunta però dalla consapevolezza di essere.

Giuliana Matthieu

 

 Dicembre 2005

Giugno 2006