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Recensioni

Francesca Cagianelli, Dario Matteoni

Renato Natali. Un mondo di eccezione

tra incanti lunari e frenesia di vita

Silvana Editoriale

 

Renato Natali (1883-1979) è tornato a far parlare di sé presso la Galleria d’Arte Athena di Livorno con un’accurata selezione di opere comprese tra gli anni dieci e i trenta, di cui rende testimonianza il bel catalogo (Silvana Editoriale) curato da Francesca Cagianelli e Dario Matteoni. Al volume, impreziosito dall’introduzione di Philippe Daverio, ha collaborato per la ricerca iconografica Marcello Pierleoni, mentre si devono al fratello Michele gli apparati biografici e critici. Entrambi hanno ricordato il 45° anno di vita della loro Galleria e ringraziato le istituzioni, i collezionisti e tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito alla realizzazione della mostra. Il volume è un valido aiuto per capirne il senso, visto che indaga su un Natali diverso, ricostruendo minuziosamente la complessa e altalenante fortuna critica dell’artista livornese. Di cui si ricorda la partecipazione alla Biennale di Venezia (1905), all’Esposizione dei Bagni Pancaldi (1912) e a quella Internazionale di Roma (1915) e di Pittsburg (1923 e 1929), dove il pittore trova finalmente udienza anche da parte di una critica avvertita e autorevole (in primis Ugo Ojetti). E ancora: la Mostra del Gruppo Labronico (1924) alla Galleria Pesaro di Milano e quella sulla “Vecchia Livorno” (1938) nel Palazzo della Provincia. Un itinerario, quello dell’artista, che pone interrogativi rimasti a lungo senza risposte e sollecita la riflessione storico-critica dei due curatori. “Natali non aveva ancora avuto una bibliografia scientifica e di lui, al di là delle cose più recenti, si sapeva poco”. Lo ha spiegato Dario Matteoni, ricordando l’importante carteggio del Museo Fattori che “è una straordinaria miniera di informazioni” a cui attingere. Altre preziose notizie si possono ricavare dalle lettere che Benvenuti si scambiava con Natali (Fondo del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto). Il lavoro di ricerca operato in queste direzioni ha “sconvolto la percezione che si aveva del pittore”. Tra le scoperte, i suoi rapporti con il simbolismo, il divisionismo e il futurismo. Un Natali, dunque, che ha avvertito i fermenti dell’arte italiana e che merita di essere proiettato in una dimensione internazionale. Nelle sue opere, ha insistito Matteoni, “ha instillato l’arte del Novecento”. Cantore della Livorno scomparsa, egli è stato “un indagatore della città fino a crearne una visione metafisica”. La critica non l’ha capito, e questo volume , frutto di un anno e mezzo di lavoro, lo dimostra. Insomma, si è “sdoganato Natali”, e il catalogo, che ha una distribuzione nazionale, intende “restituire la centralità del pittore livornese nella cultura artistica del secolo scorso”. Non solo : “Natali è anche l’avvio di uno sdoganamento del Gruppo Labronico di cui fece parte”, ha poi aggiunto la curatrice della mostra Francesca Cagianelli, avvertendo che “egli non è soltanto il colorista, l’improvvisatore”, e non lo si deve appiattire sull’ultima produzione. L’autrice ha ricordato la stagione, fondamentale per Livorno, del Caffè Bardi, sede di dibattiti sull’arte europea, per commentare che “Livorno non è la Cenerentola di Firenze. E Natali lo dimostra”. Nel 1917 egli fu recensito come uno dei seguaci del salone Rosacroce, “fatto destinato a ribaltare la critica”. In quanto alle indagini urbane dell’artista, Livorno non è solo sede di una rivisitazione in chiave folcloristica. Le popolane di Natali “sono una possibilità di travestimento colto del popolo livornese” e rimandano talora a suggestioni iberiche dalle inflessioni esotiche (mutuate da personalità quali Zuloaga e Anglada). In quanto al suo soggiorno parigino, si dice che “Natali ha dipinto Livorno a Parigi”. Niente di più errato: “A Parigi il pittore ha dipinto Parigi”. Nessuna sudditanza, dunque, del provinciale a Modigliani, ma capacità di misurarsi su un terreno proprio con straordinario vigore creativo e ricchezza di esiti pittorici. Sicuramente, ha concluso Francesca Cagianelli, “l’artista livornese merita oggi una valutazione più responsabile”. Egli ha sondato, infatti, tutti i linguaggi del ‘900 ed esce dai canoni consueti con cui si pensava di incasellarlo. La questione Natali è, dunque, più aperta che mai.

Marisa Speranza

 

Cieli alti della gioventù, libero slancio… Così si esprime in versi Giuseppe Ungaretti. Nel romanzo di Volterrani gli adolescenti del giugno ’72 (risale al maggio l’omicidio Calabresi e Ungaretti è scomparso nel ’70) ascoltano Battisti dei Giardini di marzo e sono assai cresciuti rispetto al tempo invocato dal poeta ma, come impone natura, non al punto di toccare già i cieli alti della gioventù. La loro crescita è stata favorita dal dilatarsi di una libertà non assaporata dai predecessori, dall’ammorbidita interferenza della tutela familiare, dal declino di censure non più sostenibili in termini d’amicizia e di comportamenti amorosi. È una società sana e desiderosa di conquistarsi quel benessere avviato dal “miracolo economico” producendo ed esportando di tutto, dal portacenere alle rosse Ferrari. Non si sciala ma la motoretta e un aperitivo sono a portata di mano quanto la fantasia nell’abbigliarsi. Un aspetto questo al quale non è casuale che Volterrani rivolga una minuziosa attenzione, specie nel ritrarre più volte quella Martina che, a suo modo, incarna il sogno fuggevole di una bella estate traghettatrice dalla licenza media all’ingresso della scuola superiore. Estate dispensatrice di passatempi e di giochi, d’incontri cercati e fortuiti, dell’altalenare fra dolcezze e insicurezze, dubbi e certezze adolescenziali, perfino con qualcuno deciso a sperimentare precocemente la condizione di adulto al lavoro. Dimenticato ormai il batticuore per l’esito degli esami, minuto per minuto il tempo trascorre allo splendere del sole e nel refrigerio marino in una località balneare sul Tirreno, come tale aperta all’allegria dei “bagnanti” dopo la monotonia stanziale dei mesi assorbiti dallo studio. Stranamente, il sapore dell’ambiente naturale che Volterrani coglie nella stagione estiva, non saprei dire come e perché, mi riconduce a quello autunnale e solitario creato da Cassola nel suo romanzo “Un cuore arido”. Che abbiano camminato sulla stessa sabbia? Ma gli arenili conducono agli esseri umani e Volterrani riesce a cogliere bene tratti fisionomici e umorali dei propri personaggi accompagnandoli lungo trecentoquarantadue pagine e dunque allineandosi ai cosiddetti scrittori dei famosi romanzi fiume, serviti anche a sceneggiature di films come “Via col vento” o “La grande pioggia”, tanto che sotto tale aspetto potremmo anche battezzarlo un neo balzacchiano. Di per sé la narrazione, sebbene dichiari l’autore promossa come un privato rendez-vous o reprint di una età irripetibile, oggettivamente riveste un valore documentario simile alle memorie che interessano una società come l’attuale aperta a tutti i generi di scrittura però, allo stesso tempo, data la contaminazione prodotta dal ricordo dell’autore al vissuto trasfigurato dalla fantasia secondo quanto Volterrani asserisce, non possiamo che assumerla nella fattispecie di romanzo. “Opera prima” senz’altro da leggere, dopo la quale auguriamo al novello scrittore di non dimettersi, dimenticando finalmente quel mantenere con l’italiano un conto in sospeso fino dalle elementari. Un invito a trovare il coraggio di esprimersi con una seconda narrazione.

Brunello Mannini

E. Volterrani

Da giugno a settembre

ETS

 

Giorgina Brusca Gernetti

Parole d’ombraluce

Genesi Editrice

 

L’idea, ecco è l’idea di un passato non passato, di un presente continuous, di un futuro imprendibile, nascosto da un paravento, a chiudere e stringere i versi della Busca. Il poeta è sostanzialmente solo come tutti coloro che cercano dentro di sé quanto il mondo non è capace di offrire, quanto sfugge alla comprensione, quanto non si vede, quanto si percepisce soltanto nell’ombraluce. Giusto titolo che racchiude l’io insoddisfatto, incompreso, spaurito della poetessa, in primis, ma forse anche di tutti noi. Coloro cioè che vinti dal peso di una vita che diversa avrei voluta ora per ora… vita non mia, pur mia si attardano a ritornare nei luoghi dell’infanzia lontana e imaginifica… l’animo stretto nell’acerba morsa del dolente rimpianto e ancora coloro che scrutando nel pozzo, cercano i frammenti sparsi del loro esistere. La poetessa matura la sua lirica dentro ad una imperfetta crisalide che negli anni si muta in splendida farfalla di cui però con consapevole lucidità si contano i giorni dell’esistere. Ma la sua malinconia non è però negazione della vita, ma è siepe dell’infanzia,/ graffi sul braccio,/ sussurro di frassini,/ capricci, risate e pianti,/ brevi come in estate un temporale. Ed è dolcezza questo suo andare per ricordi accompagnata dai versi degli altri, i poeti che come lei, con lei hanno assaporato l’agrodolce del rimpianto. Sfilano Pascoli, e Carducci, Leopardi e Montale e insieme vanno Menecmo, Euclide ed Apollonio e per mano ancora Saffo e Ibico. Ma questo andar per versi insieme ai grandi che hanno fatto grande la storia dell’uomo, senza nulla rubare loro, ma soltanto affinarsi e scaldarsi alla loro luce, fa di questi versi monumenti di piacevole ascolto, un calidario di superbe impressioni che non mancano mai di colpire nel segno. Ed il segno è il nostro sentire che si fa piccolo come un uccello nel pugno, grande come un mare in tempesta, dolce come una caramella rubata, verde come i prati in primavera. Così tutti allineati cerchiamo di riconoscere le sensazioni di un azzurro puro, di zolle arate, di spighe ondeggianti, monumenti di speranza regalati dalla natura all’uomo affinché viva. Ci ritroviamo a camminare gli uni accanto agli altri nel ricordo della madre, lontana e tuttavia vicina, per riprendere con lei le fila di un dialogo interrotto e ci sentiamo rappacificati con la vita che nulla regala ma nulla toglie se tu cielo sereno profondo/, io bianco gabbiano nel vento,/ io fronda che lieve si culla,/ tu sabbia che riluce al sole, nella parola poetica continuiamo a cercare il senso della vita. Perché poi è il senso della vita a dominare tutta la poetica della Busca. Volere a tutti i costi cercare il senso, in ogni spigolo di mare, in ogni frammento di roccia, in ogni segmento di terra, in ogni evento umano: il senso e la sua verità.

Giuliana Matthieu

 

Marzo 2006

Settembre 2006