Recensioni Novembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

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Recensioni

Roberto Stefanelli

Lucca 2069

Le quattro lettere di Dio

Ibiskos Ulivieri

 

Due buoni motivi per avvicinarci senza timore al romanzo di Stefanelli: Una forte verve affabulatoria e una discreta conoscenza del mercato editoriale odierno. La vicenda che si tinge talvolta di giallo e talaltra di delicato rosa, alternandosi fra intricati percorsi di spionaggio informatico e delicati sentimenti d’amore, per soddisfare anche le esigenze romantiche dei più romantici, nel rispetto delle nostre tradizioni narrative, si ambienta in una Lucca ultramoderna collocata nella seconda metà degli anni 2000. Apparentemente lontano, se vogliamo il 2069, in realtà spaventosamente prossimo a questi nostri tempi che già indugiano sul futuro. Con abbondanza di particolari la vicenda s’incentra sulle turbative che nasceranno senz’altro da una troppo accurata e ravvicinata conoscenza del nostro privato. Ed è proprio in una ipotetica e quanto mai probabile schedatura del nostro dna attraverso l’informatica che l’autore, moderna Cassandra, preconizza un probabile prossimo futuro, a ben guardare già abbastanza presente. Articolato con abilità e accattivante allo stesso tempo per la varietà dei temi esposti, il corposo romanzo di Stefanelli arrampica talvolta anche con fatica sulla difficile scalinata di un ipotetico o forse soltanto prevedibile futuro dell’umanità.Romanzo certamente collocabile in una fascia d’utenza abbastanza giovane o quanto meno preparata ad accettare gli inevitabili quanto inesorabili cambiamenti operati dalla telematica. Oggi spersonalizzati e tutti recuperabili dentro i file di un qualsivoglia computer, ci rendiamo conto dell’epoca in cui viviamo e di quella in cui andremo a vivere. Le piccole scorie d’amore della vicenda di Luca e Chiara, giovani del 2069, che niente hanno in più o in meno rispetto ai loro padri, rendono tuttavia la vicenda coralmente accettabile, ci accostano a un universo nuovo e vecchio insieme, perché l’amore e i sentimenti mostrano una faccia eternamente uguale. Così il freddo mondo dei data base, dei microchip, dei caschi multimediali, dei terminali è addolcito, reso più accettabile dalla leggera penna dello scrittore che non dimentica, pur anticipando i tempi in cui legge o prevede grandi cambiamenti, di essere figlio del suo. E se qualche volta la vis affabulatoria gli prende la mano, non si può fare a meno di apprezzarla perché efficace e coinvolgente. Semmai consigliabile per una futura produzione, maggiore snellezza, anche se la sua talvolta eccessiva voglia di dire nasconde una certa e inconfessata paura di non essere compreso. Piacevoli le descrizioni d’ambiente, efficaci le scene di movimento, mai monotono, in una parola godibile. Soddisfatta la voglia del nuovo per i più giovani, mantenuto il sapore del vecchio per i più romantici, si può affermare che in questa giusta miscelazione di antico e moderno, ci sia posto anche per il futuro.

Giuliana Matthieu

 

Del resto non si può dire che abbia sbagliato Bruce Charwin, un grande viaggiatore a sostenere che la vera casa dell’uomo è la strada, tesi sostenuta anche da tanti altri personaggi che hanno fatto della loro un’autostrada: i grandi viaggiatori dell’800, i romantici inglesi che tuttavia non si allontanavano dai luoghi di domestica frequentazione, a sporgersi più in là Goethe ma sempre romantici viaggi intorno al paese del sole. Invece i novecentisti più avventurosi si sono spinti più lontano, basta pensare a Stanislao Nievo morto recentemente nella sua bella casa a Roma che sosteneva che un modo per rendersi conto di quel che succede nel mondo e di cosa ci siamo venuti a fare è quello di vedere, toccare con mano, confrontarsi. A non tutti comunque è data questa fortuna, vuoi per pigrizia, per inefficienza, vigliaccheria, mancanza di energie, timore, problemi di natura familiare e altro, e l’impedimento è lì e si tocca con mano e la voglia di vedere rimane accucciata dentro. Il nostro Daemilia pseudonimo con cui questo professore di botanica si firma, è andato oltre le porte di casa e si è spinto fino nel Messico per firmare la sua ricerca sulle tillandsie, piante epifite (piante cioè che vivono su altre piante) e raccontarcele. Ed è proprio questo suo narrare piano, discorsivo, di una sorprendente vivacità, infiorettato da merlettature comiche e spiritosi passaggi a rendere la materia anche per i non addetti ai lavori estremamente accattivante. E nel diario talvolta anche troppo preciso per quanto riguarda la parte scientifica s’innestano a mo’ di epifite spezzoni di vita familiare, di cronache locali che rendono la lettura piacevole ma soprattutto ci avvicinano a un tipo di vita lontano dal nostro e quindi diverso. Aldo Forbice con il suo acuto senso d’indagine ha definito il viaggio un interessante percorso oltre che, nella flora messicana, nella fauna umana. E la curiosità dell’autore non si ferma mai ma si dilata ad abbracciare luoghi, persone, ambienti, che in questo modo si intrecciano e dànno vita a una più larga esperienza. Un viaggio di studio si dovrebbe dire, in realtà un viaggio di ricerca di persone, cose, ambienti, un viaggio che acquista l’aspetto del diario per lo stile e la puntigliosità quasi giornalistica, e allo stesso tempo si arrampica con scioltezza sull’albero della vita di cui l’autore sa cogliere i frutti. E accanto al botanico, esce a tutto tondo l’etologo, lo psicologo, l’umorista, l’esploratore di uomini e cose, in sintesi l’uomo che vuol sapere chi siamo da dove veniamo e dove andiamo. A tutto questo si aggiunga lo stile variopinto, spassoso, divertente che ci fa assaporare ancora una volta lo squisito piacere della scoperta. Il tutto nella più rigorosa precisione scientifica, quindi una lettura non destinata soltanto agli addetti ai lavori, ma a tutti quelli che cercano nel libro un qualcosa di più.

Giuliana Matthieu

Luigi Daemilia

Il mio Messico

Ibiskos Ulivieri

 

 

Elio Andriuoli

Per più vedere

Genesi Editrice

2007

La Ballata ha avuto già l’opportunità di occuparsi di questo pluripremiato poeta (e saggista) e non possiamo che essegli grati di averci fatto omaggio della nuova raccolta di poesie sotto il titolo impegnativo “Per più vedere”. E forse non sarà un caso se la copertina ospita la Sibilla delfica ritratta da Michelangelo “il grande”, nel Giudizio Universale della cappella Sistina, se Leonardo volle definire la poesia una pittura che si sente e non si vede e la pittura una poesia muta. Così la Sibilla ci ha liberamente ricondotto non tanto al motto “Conosci te stesso” scritto secondo leggenda sul frontone del tempio di Apollo a Delfo quanto, per esempio, a nulla è più dolce dell’amore, epigramma di Nosside poetessa di Locri del IV-III secolo a.C..il cui sguardo ridente per un momento Andriuoli “dipinge” affiorato dal mare dei secoli a render limpida e lieve l’ora che veloce s’annera. E rimanendo in tema di dipinti, voltata pagina, il lettore sarà subito e di nuovo veicolato in un lontano passato per virtù di una reincarnazione pittorica operata nel ‘700 da Guido Reni, ispiratosi all’età mitica di Atalanta e Ippomene. Lei insuperabile nella corsa ma battuta dall’astuzia di lui che riesce a spezzarle il ritmo adescandola facendo cadere lungo il percorso tre mele d’oro da lei raccolte. Una sconfitta che parrebbe accoppiarsi a quella subita a Pompei dalla donna “dal bracciale d’oro”. In seguito, sempre il lettore, si troverà davanti a un Michelangelo Merisi (Caravaggio) del quale Andriuoli poeta delinea l’esistenza formulata in termini di una concisa e folgorante confessione-ritratto da ritenere non meno efficace di un ritratto eseguito da un grande pittore del passato. Se abbiamo limitato questo breve intervento evidenziando solo le poesie che precedono, per così dire non estranee “mutata mutandis” alle convinzioni di Leonardo, è perché nel rispettare la solita tirannia dello spazio nulla è parso fosse da aggiungere alla congrua, erudita e motivata prefazione fornita di Emerico Giachery. Tale da mettere a tutto agio i molti fans nella lettura della più recente opera di Elio Andriuoli.

Brunello Mannini

 

Giugno 2007

 Marzo 2008